È la domanda a guidarci

Al principio ci sono sempre domande ritenute fondamentali, almeno per tutti quelli che, come noi, sono cresciuti all’ombra del pensiero greco[1]. Accade alle persone comuni, che fanno a pugni ogni giorno con il desiderio di conquistare un futuro migliore per sé stessi e per i propri figli. Accade ai filosofi, che si ritrovano, millennio dopo millennio, ad interrogarsi su «ciò che vi è», su «ciò che vale», su «chi noi siamo». E accade anche ai sociologi dell’organizzazione, alle prese con la necessità di comprendere «come funzionano le organizzazioni» e «come potrebbero funzionare meglio».

Già. «Come funzionano le organizzazioni?». «Come potrebbero funzionare meglio?». Siamo partiti da queste domande, e dall’idea che per apprendere bisogna innanzitutto capire, poi studiare, infine applicare a contesti reali (famiglia, amici, lavoro, svago, studio, affetti, ecc.) ciò che si è capito e studiato, per pensare e sperimentare la metodologia in grado da un lato di valorizzare al meglio le potenzialità e le capacità di ciascun componente della classe e dall’altro e conseguentemente di fare di quest’ultima una organizzazione che mette in comune, scambia e utilizza idee, contenuti e informazioni per apprendere, costruire significati, creare conoscenza.

Si tratta evidentemente di un approccio fortemente cercato e che per questo ha caratterizzato l’insieme delle attività realizzate con gli studenti, quelle in aula così come quelle a distanza. Un approccio che è andato acquistando tanto più senso e significato, nell’accezione che, in ambito organizzativo, Karl Weick ha dato ai due venerabili termini, quanto più si è riusciti a tenere assieme ciò che è proprio di una storia nobile e non certo finita, come ad esempio il rapporto tra docente e studente, la lezione in aula, il libro di testo, e ciò che invece è sperimentazione e innovazione, come ad esempio gli studenti – autori – produttori di contenuti – portatori di saperi, la valorizzazione della conoscenza non solo esplicita ma anche tacita dei partecipanti al processo di apprendimento, i processi di comunicazione orizzontali, l’utilizzo delle nuove tecnologie non come conduttore ma come componente del sapere, la verifica sul campo di metodologia, didattica, contenuti.

Detto che in cantieri di questo tipo i lavori sono per definizione perennemente in corso, si può aggiungere che l’approccio di tipo connettivo ha contribuito a rendere possibile, e visibile, nel corso degli anni, un processo di miglioramento continuo dell’«organizzazione» classe e del corso, e che questo stesso dizionario ha tratto da tutto ciò un effettivo, costante beneficio. Il suo uso da parte degli studenti, rendendone più evidenti i limiti e le potenzialità, ha permesso non solo di migliorarlo ma anche, grazie alla fortunata coincidenza delle tre edizioni realizzate in tre anni, di «restituire» anno dopo anno agli studenti più giovani almeno una parte dei miglioramenti che anche grazie ai loro colleghi più anziani è stato possibile determinare.

Le sperimentazioni che siamo andati realizzando in questi anni, e la stessa fantastica opportunità della traduzione in inglese rappresentano naturalmente delle ulteriori straordinarie occasioni per rimettere mano al dizionario e renderlo ancora di più rispondente, per quanto è dato alle nostre possibilità e capacità, allo scopo per il quale è nato: offrire a chi legge, e a chi studia, riferimenti e mappe cognitive atte a scoprire, apprendere, assimilare, approfondire le connessioni e le priorità che tengono assieme autori e concetti che popolano la storia del pensiero organizzativo.

Sun Tzu ha scritto che «una volta colte, le opportunità si moltiplicano[3]». E Winston Wolf (Harvey Keitel), in Pulp Fiction, il film cult di Quentin Tarantino, si presenta a Vincent Vega (John Travolta), Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) e Jimmie Dimmick (Quentin Tarantino) con la mitica battuta «Sono il signor Wolf. Risolvo problemi». Ecco, il sociologo ma anche il manager o il quadro aziendale dalle mai finite connessioni che piace a me ha più o meno queste caratteristiche: risolve problemi, coglie opportunità, ergo, le moltiplica.
Buona navigazione.


[1] L’eccezione, non solo significativa ma destinata ad incideresempre più sul nostro futuro, è data dal pensiero “altro” che ci viene dalla Cina, come spiega mirabilmente Francois Jullien nei suoi libri, per ultimo “Le trasformazioni silenziose”, Raffaello Cortina, 2010

[2] Il riferimento è naturalmente a The Matrix di Andy e Larry Wachowski, con Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss, Hugo Weaving, Monica Bellucci, 2003

[3] cfr. Sun Tzu, L’Arte della Guerra, Astrolabio Ubaldini

 

I quattro movimenti, la chiave e la definizione

I quattro movimenti hanno lo scopo di tracciare, a beneficio di chi legge e, soprattutto, di chi studia, alcune delle possibili connessioni esistenti tra i mille sentieri che si biforcano nei giardini del pensiero organizzativo. La chiave fornisce qualche utile indicazione per leggere e ordinare i diversi movimenti. La definizione si riferisce al termine ORGANIZZAZIONE, che per molte ed evidenti ragioni non può che essere considerata primus inter pares.

Ai mostri sacri WEBER e TAYLOR si deve il primo movimento.
La loro opera si può definire un inno alla razionalità assoluta. All’organizzazione ideale. Alla struttura perfetta. All’uomo impersonale. Senza qualità. Rotella da sincronizzare nell’ineccepibile ingranaggio della burocrazia (WEBER) e dell’industria (TAYLOR).

Il secondo movimento ha come filo conduttore la soggettività, l’imperfezione, l’anomalia, la contraddizione e ha tra i suoi maggiori autori – interpreti BARNARD (organizzazione come sistema cooperativo; importanza degli incentivi; funzione del dirigente), BRAVERMANN (alienazione; separazione tra lavoro direttivo e lavoro esecutivo), CROZIER (inefficienza della burocrazia; strategie dei soggetti, lotte di potere e controllo dell’incertezza), ETZIONI (forme pure di potere; modalità di comando e di ubbidienza; tipologie di carisma), GOFFMAN (istituzione totale; gruppi di performance e gruppi di audience), GOULDNER (funzioni latenti; dualismo tra disciplina – gerarchia e competenza), LAURENCE e LORSCH (prevedibilità – imprevedibilità delle strutture; importanza del contesto), MAYO (relazioni umane; fattori materiali e fattori psicosociali), MARCH (processi decisionali; importanza delle coalizioni; incentivi e contributi), MERTON (teorie di medio raggio; anomia; serendipity; funzioni latenti e conseguenze inattese; incapacità addestrata), MINTZEBERG (burocrazia professionale e burocrazia meccanica), SIMON (razionalità limitata; giudizi di fatto e giudizi di valore; importanza delle procedure; continuum mezzi fini), WOODWARD (tecnologia, controllo e struttura organizzativa dell’impresa).

Il terzo è il movimento dei fattori istituzionali e ambientali, destinati ad assumere un’importanza sempre più strategica nell’analisi delle strutture e dei processi organizzativi.
È qui che è possibile incontrare le idee di WILLIAMSON (trasformazione dell’impresa da funzione della produzione a struttura di governo delle transazioni; mercato e gerarchia; gruppo relazionale) e di OUCHI (coesistenza di mercato, burocrazia e clan nella stessa organizzazione; tradizione, lealtà e fiducia); di STINCHCOMBE (popolazioni organizzative; onere della novità; imprinting organizzativo), di HANNAN e FREEMAN (selezione e cambiamento; ambienti a grana fine e a grana grossa; organizzazioni generalistiche e organizzazioni specialistiche) e di PIORE, SABEL e ZEITLIN (specializzazione flessibile; distretti industriali); di SELZNICK (impatto delle istituzioni sulla vita delle organizzazioni; tipologie dei processi di cooptazione e cricche istituzionalizzate; caratteristiche della leadership e tipologia di rapporti con i poteri esterni), di MEYER e ROWAN (processi di isomorfismo; miti razionali) e di POWELL e DI MAGGIO (concetto di campo organizzativo).

Il quarto movimento muove dall’idea che la burocrazia e l’impresa possono essere comprese solo a partire dalle culture organizzative che in esse si affermano e sono prevalenti e che dunque sono i soggetti molto più delle strutture a determinare il carattere, i processi decisionali, le storie, i successi e i fallimenti delle organizzazioni.
È questo il movimento tra gli altri di SCHEIN (concetto di cultura organizzativa), MARTIN (pluralità delle culture organizzative), KUNDA (cultura aziendale come strumento di controllo) WEICK (processi cognitivi e sensemaking), GIDDENS (processi di strutturazione), SCHÖN (superamento della scissione tra il pensare e l’agire, il sapere e il fare, il decidere e l’attuare).

La chiave per interpretare i diversi movimenti è rappresentata dall’individuo, dalle persone che, con la loro testa e le loro mani, sono diventate negli anni sempre più l’elemento centrale, il fattore strategico, nella definizione e nella comprensione dei processi organizzativi.
Dall’omino alienato magicamente interpretato da Charlie Chaplin in Tempi Moderni fino al lavoratore della conoscenza impegnato a scegliere informazioni e conoscenze, a stabilire relazioni e costruire connessioni, a sapere e a saper fare, per tutto il corso della propria vita, molta strada è stata oggettivamente fatta, nonostante le tante contraddizioni, in questa direzione.

Per quanto riguarda infine la definizione, Secondo il dizionario De Mauro della Lingua Italiana il termine ORGANIZZAZIONE comprende, tra i suoi significati di largo uso:

1. l’organizzare, l’organizzarsi e il loro risultato;
2. il modo in cui è organizzato un lavoro, una struttura ecc.;
3. una qualsivoglia struttura organizzata per conseguire un fine comune;
4. l’insieme delle persone che operano in una struttura.

Questa prima, generale, definizione può essere naturalmente arricchita, acquisire nuovi significati, essere oggetto di ulteriori determinazioni, a seconda del contesto nel quale il termine viene utilizzato o analizzato. Nei confini delle discipline e dei linguaggi sociologici si deve proprio a questa azione di ulteriore specificazione la possibilità di evidenziare che:

1. con il termine organizzazione si usa definire tanto un qualsivoglia soggetto o ente (associazione, impresa, istituzione, partito, sindacato ecc.), in possesso o meno di personalità giuridica, per qualunque scopo costituito, quanto la maniera in cui tale soggetto o ente è strutturato (gerarchie, decisioni, funzionalità, efficacia, efficienza saranno in questo caso alcuni dei fattori che ci si troverà a valutare);
2. concorrono a definire l’oggetto di studio della sociologia dell’or-ganizzazione non solo le organizzazioni formalmente riconosciute in quanto tali (le strutture, il volto statico delle organizzazioni), ma anche tutti quegli eventi in qualche maniera rilevanti per comprendere uno o più aspetti della realtà sociale (i processi, il volto dinamico delle organizzazioni), indipendentemente dal fatto che essi si manifestino nell’ambito di contesti micro, come nel caso delle relazioni nell’ambito di un piccolo gruppo, o macro, come nel caso del funzionamento di organismi internazionali;
3. tanto le teorie prescrittive, quelle che cioè si ripromettono di indicare in che modo un determinato soggetto o ente deve essere organizzato per conseguire al meglio i propri scopi, quanto quelle interpretative, che forniscono invece strumenti e analisi per comprendere il funzionamento di una qualsivoglia organizzazione, rivestono in tale contesto una funzione rilevante.

12 Autori

Ricordate la seconda delle cinque mosse per apprendere di più e ottenere risultati migliori? Nel caso la risposta fosse no ve lo dico io, è quella che porta ai seguenti autori: Weber, Taylor, Ford, Barnard, Simon, Selznick, Williamson, Schein, Weick, Nonaka e Takeuchi, Miles e Snow.
Ancora una volta chi vuole imparare davvero occorre che comprenda (perché Weber e Taylor sono i mostri sacri del primo movimento?; in quali dei restanti tre movimenti possono esseri inseriti gli altri autori?), studiare, cercare di applicare a casi concreti le idee dei diversi autori. Intanto eccoli qua nell’ordine in cui ve li ho presentati.

Max Weber

L’IMPIEGATO

AD OVEST DI PAPERINO

MATRIX

Vedi anche
AMMINISTRAZIONE – BUROCRAZIA – CROZIER – GOULDNER – MERTON – PARSONS – SIMON

Domande
In che senso la sociologia è una scienza comprendente?
Perché la BUROCRAZIA è la forma più tipica del potere razionale – legale?
Cosa sono e cosa definiscono i tipi ideali?

Idee
Grazie al suo genio estremamente versatile e a una capacità di analisi davvero fuori dal comune, WEBER eccelle in numerose discipline, dalla storia all’economia, alla politica, anche se è ricordato in particolare per il fondamentale apporto dato in ambiti come l’epi-stemologia e il metodo delle scienze sociali, l’analisi della civiltà occidentale moderna, la sociologia.
È proprio intorno alla definizione di concetti chiave della sociologia che WEBER struttura le sue idee circa la possibilità – necessità di dare una spiegazione comprendente dell’agire sociale delle persone, in grado di spiegare cioè le cause che si ritiene siano alla base di un determinato agire e di comprendere il senso che le persone danno al loro agire rispetto a quelle cause. Sulla scia dello storicismo di Dilthey, WEBER rifiuta infatti la pretesa positivista di analizzare i fenomeni sociali e politici utilizzando le stesse categorie concettuali delle scienze naturali e sostiene che le scienze sociali hanno per oggetto l’agire sociale in quanto comportamento dotato di senso e che la sociologia è la scienza che cerca di comprendere tale agire, di individuare l’insieme delle condizioni o delle influenze che lo determinano, di sottoporre a continua verifica le conclusioni di volta in volta raggiunte.
A suo avviso, se l’Occidente ha avuto uno sviluppo tanto singolare rispetto a quello delle altre culture è perché in questa parte di mondo il processo di razionalizzazione è progredito a tal punto da investire sistemi di credenze, ordinamenti (giuridici, politici, economici), strutture (a partire dalla famiglia), attività artistiche e scientifiche. Egli sostiene che la società che si fonda sul tipo di atteggiamento più razionale è quella del moderno capitalismo, e che tale razionalità è possibile solo quando si postula una realtà priva di ogni senso magico e che presupponga, sotto il profilo religioso, l’assoluta trascendenza della divinità.
Detto in altro modo, se la realtà a un certo punto si è liberata da significati magici, si è fatta oggettiva, modificabile senza limitazioni dalla volontà umana, è proprio perché, con l’avvento del moderno capitalismo, si è sviluppato un sistema di credenze che ha posto il sacro, la divinità, su un piano soprannaturale e dunque trascendente rispetto al mondo terreno. Il disincanto del mondo connesso alla modernità, il crescente predominio delle logiche di efficienza e produttività, la fiducia nel fatto che le cose possano essere dominate dalla ragione determinano la graduale espulsione di ogni riferimento a spiegazioni e comportamenti magici, metafisici e religiosi.
Per WEBER, nell’ambito di questo processo rivestono una funzione importante tanto le scienze naturali (che spiegano) quanto, soprattutto, quelle sociali (che spiegano e comprendono). Diversamente dall’agire della natura, che ha senso in rapporto ad altre cose o fenomeni, l’agire razionale dell’uomo ha senso in sé (è a partire dall’agire sociale dei suoi componenti che le organizzazioni possono essere comprese) e può essere classificato nell’ambito di quattro diverse categorie:

1.    agire razionale rispetto allo scopo: un’azione si dice razionale rispetto allo scopo se chi la compie valuta razionalmente i mezzi rispetto agli scopi che si prefigge, considera gli scopi in rapporto alle conseguenze che potrebbero derivarne, paragona i diversi scopi possibili e i loro rapporti;
2.    agire razionale rispetto al valore: un’azione si dice razionale rispetto al valore quando chi agisce compie ciò che ritiene gli sia comandato dal dovere, dalla dignità, da un precetto religioso, da una causa che reputa giusta, senza preoccuparsi delle conseguenze che dalla sua azione possono derivare;
3.    agire determinato affettivamente: un’azione è determinata affettivamente quando è risolvibile in pure manifestazioni di gioia, gratitudine, vendetta, affetto o di altro stato del sentire; così come le azioni razionali rispetto al valore, anche quelle determinate affettivamente hanno senso di per se stesse, senza riferimento alle possibili conseguenze; tuttavia, a differenza delle prime, queste ultime non hanno riferimento consapevole all’af-fermazione di un valore, trattandosi piuttosto dell’espressione di un bisogno interno;
4.    agire tradizionale: un’azione è tradizionale quando è una semplice reazione a stimoli ricorrenti, un’espressione di abitudini, di comportamenti che si ripetono senza interrogarsi su possibilità alternative e sul loro reale valore, senza porsi il problema se vi siano o meno altre vie per raggiungere gli stessi risultati.

Com’è evidente, WEBER pone in ordine gerarchico i tipi ideali di atteggiamento, disponendoli secondo un criterio di crescente razionalità: il livello di razionalità più basso si trova nell’azione dettata dalla fedeltà a tradizioni, abitudini, costumi, credenze; poi si passa all’azione determinata da un sentimento/istinto/stato d’animo; poi ancora all’azione razionale rispetto a un valore; infine vi è l’azione razionale rispetto a uno scopo.
Altra questione rilevante del sistema concettuale weberiano è quella che si riferisce al rapporto tra il ricercatore e la realtà sociale.
Per WEBER la realtà non può essere conosciuta né riprodotta in maniera integrale o definitiva, poiché il campo di ricerca viene influenzato e delimitato di volta in volta dalla relatività dei criteri di scelta della conoscenza storica e dall’unilateralità dell’indagine storica. Si può però minimizzare il rischio di un eccessivo coinvolgimento dello scienziato sociale con l’oggetto di studio adottando un approccio avalutativo, che permette di astenersi dal giudicare i fenomeni che si analizzano nel corso dell’attività di studio e ricerca alla luce dei propri giudizi di valore e, soprattutto, definendo per l’appunto i tipi ideali, le astrazioni, le costruzioni di pensiero, necessarie per generalizzare i fenomeni analizzati, per ricondurre l’infinita varietà di casi presenti nella realtà a insiemi di categorie confrontabili e verificabili.
Una semplice somma di fatti non porta con sé la conoscenza scientifica. Occorrono delle uniformità statistiche che corrispondono al senso intelligibile di un agire sociale. Sono i tipi ideali, modelli che non esistono nella realtà ma che sono fondamentali per comprenderla. In pratica Weber individua, per astrazione, dei tipi ideali di atteggiamento, che non sono il risultato di medie statistiche né hanno di per sé un valore ideale al quale ispirarsi, ma sono costruiti accentuando unilateralmente uno o più punti di vista, in modo tale che ciascuno di essi presenti in forma pura determinate caratteristiche (di qui ad esempio i concetti convenzionali di economia cittadina o economia rurale, ai quali non è dato riconoscere i regimi storici di produzione cui essi si riferiscono).
Sicuramente importante anche la distinzione operata da WEBER tra potere, che possiede una dimensione istituzionale (affinché un comando trovi obbedienza ci devono essere: una relazione di comando e obbedienza tra superiori e sottoposti, un apparato amministrativo che trasmetta il comando, una legittimazione del comando) e potenza (in questo caso gli individui sono costretti a seguire la volontà di chi la impone).
WEBER individua tre forme di legittimazione del potere:

i. quella tradizionale, determinata dall’influenza di antichi ordinamenti e dalla discendenza, come nel caso del dono o delle famiglie di industriali;
2.    quella carismatica, che è determinata dalle eccezionali qualità personali di chi detiene il potere e dà luogo ad una obbedienza basata su di una fede emotiva;
3.    quella razionale – legale, determinata dagli ordinamenti istituzionali, che trae la sua legittimazione dall’esistenza di norme che anche chi esercita il potere deve rispettare e di un apparato amministrativo detto BUROCRAZIA.

Per WEBER la BUROCRAZIA (in buona sostanza ogni forma di organizzazione razionale del lavoro) è a propria volta la forma più tipica del potere razionale – legale. Per quanto già gli antichi imperi di Cina e d’Egitto avessero formato un proprio apparato amministrativo-burocratico i due fattori fondamentali che ne determinano l’af-fermazione in epoca moderna sono dati dalla sua superiorità tecnica, dalla possibilità cioè di gestire sistemi di grande complessità sulla base di criteri di razionalità rispetto allo scopo, e dall’avvento della democrazia di massa, che per definizione non può fare a meno di un sistema amministrativo imparziale dotato di autorità legale.
Nel sistema burocratico le competenze sono definite da leggi, gli uffici sono organizzati gerarchicamente, esiste il segreto d’ufficio, i funzionari possiedono una preparazione specifica (acquisita con studi specifici), vengono assunti a seguito di prove ed esami, godono di un elevato prestigio di ceto, svolgono la propria attività a tempo pieno, sono retribuiti in importo fisso a seconda della posizione che occupano, non posseggono i mezzi di produzione.
Infine, tra i concetti più rilevanti che si devono all’opera e all’in-gegno di WEBER vanno ricordati la distinzione, già presente in Tönnies, tra comunità (comune appartenenza soggettivamente sentita) e società (convergenza di interessi); l’assunzione della lotta (assunta in modo puramente analitico e slegato dalle connotazioni politiche presenti invece in Marx) come elemento caratterizzante della società umana (a fronte dell’ordine di Durkheim); la definizione di ceto in quanto insieme di individui che condividono un certo status riconosciuto socialmente, senza che questo status coincida necessariamente con la posizione economica.

Citazione
La democrazia moderna, dovunque diventi democrazia di un grande Stato, diventa democrazia burocratica. E ciò deve essere, poiché la democrazia burocratica sostituisce alle cariche onorifiche e nobiliari il funzionariato pagato. [1961]

Frederick W. Taylor

Vedi anche
ALIENAZIONE – ARGYRIS – FAYOL – FORD – HERZBERG – MAYO – MASLOW – OSL – POSTFORDISMO

Domande
Quali sono gli obiettivi fondamentali dell’OSL?
Quali i suoi caratteri principali?

Idee
Ingegnere industriale statunitense, iniziatore della ricerca sui metodi per il miglioramento dell’efficienza nella produzione, TAYLOR è l’ideatore del metodo da lui stesso definito della ORGANIZZAZIONE SCIENTIFICA DEL LAVORO (OSL). Pur non essendo un sociologo, egli è sicuramente uno scienziato sociale con il quale la sociologia ha dovuto e deve fare i conti, confrontarsi, misurarsi.
TAYLOR struttura il suo metodo negli anni che precedono la prima guerra mondiale, quando l’esigenza di creare nuovi armamenti imprime un forte sviluppo alla produzione pesante, la tecnologia richiede operai maggiormente specializzati, la produzione assume sempre più caratteri di massa e i vecchi sistemi non riescono a rispondere in maniera adeguata alle esigenze del mercato. A oltre un secolo dalla sua rivoluzione, l’industria continua a essere governata con metodi di direzione dove prevalgono decisioni personali, corruzione, arbitrio e con un’organizzazione del lavoro empirica e approssimativa. Molte officine di medie dimensioni e le stesse grandi fabbriche della fine dell’800 sono in mano ai capireparto, spesso ex operai di mestiere senza alcuna specifica capacità di direzione, che hanno il potere di decidere in materia di assunzioni e licenziamenti.
In questo contesto, le idee di TAYLOR sul lavoro industriale rappresentano una ulteriore rivoluzione, questa volta non più produttiva ma organizzativa. Egli conduce i suoi primi studi sulla riorganizzazione della produzione nel 1883, presso la «Midvale Steel Company» e presso la «Bethlehem Iron Company», impresa che deve abbandonare nel 1901 per le cattive relazioni con il resto del corpo dirigente. Al termine di questa esperienza scrive il suo primo libro, Shop Management, che ha un discreto successo e fa di lui il massimo esperto statunitense di direzione di stabilimento.
Con l’ausilio dei nuovi principi organizzativi TAYLOR si propone di:
1. accentrare e razionalizzare le linee di autorità all’interno dell’azienda;
2. aumentare la produttività non solo attraverso la riorganizzazione, ma anche attraverso la trasparenza totale di costi, procedure e tempi;
3. usare la scienza ed il metodo scientifico non solo come criterio di azione, ma come legittimazione dei nuovi metodi di lavoro;
4. superare il dilettantismo che contraddistingue il lavoro industriale in tutte le sue componenti, quelle produttive e quelle umane.
In particolare egli insiste sulla necessità di qualificare l’azione del management e di costruire un proficuo rapporto tra dirigenza qualificata e operai specializzati, in maniera tale da assicurare consistenti vantaggi ad ambo le parti.
Una procedura divenuta ormai classica di ottimizzazione di una mansione lavorativa è ad esempio quella che prescrive di considerare un gruppo di 10/15 operai abili nella mansione da analizzare, studiare l’esatta serie di movimenti che compongono l’operazione, determinare il tempo necessario per ciascun movimento, verificare se esiste un modo più veloce per compierlo, eliminare ogni movimento lento o inutile, definire la serie ottimale dei movimenti.
L’elenco dei capi funzionali che a suo avviso sono necessari per riorganizzare la direzione dello stabilimento prevede invece l’addetto agli ordini di lavoro e ai cicli, l’addetto alle schede di istruzione, l’addetto ai tempi e ai costi, il caposquadra, l’addetto alla velocità di esecuzione, l’addetto alla manutenzione, l’ispettore, l’addetto ai rapporti disciplinari.
A suo avviso, per stimolare la motivazione del lavoratore occorre ricorrere a sistemi che incentivino la produttività come il lavoro a cottimo, la partecipazione ai profitti e al risparmio (tali sistemi vengono detti monastici perché sono rivolti a garantire che ogni lavoratore impieghi sul lavoro tutte le sue energie sulla base del presupposto che il maggior guadagno economico sia la principale leva per coinvolgere il lavoratore).
Anche se le idee di TAYLOR sono note al grande pubblico soprattutto per aver fornito la base razionale e scientifica dello «sfruttamento operaio», per aver teorizzato il lavoro alienato, frustrante, nel quale l’operaio è soltanto una piccola rotella di un ingranaggio del quale non controlla i ritmi e il prodotto e non comprende la finalità (se non quella di arricchire «l’odiato» padrone), in realtà, se si guarda a esse con il distacco che consente la storia, bisogna riconoscere che rispetto alla situazione di arbitrio e di selvaggio sfruttamento preesistente, il taylorismo e il fordismo sono stati essenziali per avviare quel processo di modernizzazione che ha consentito, grazie in primo luogo alle lotte dei lavoratori e delle loro organizzazioni sindacali, ma anche ai cambiamenti introdotti dal pensiero organizzativo e manageriale, di fare del lavoro una componente sempre più essenziale del sistema sociale e produttivo. Il fatto che con il tramonto del taylorismo – fordismo il lavoro industriale va in crisi, perde identità e indebolisce la propria capacità di rappresentare istanze generali di cambiamento, suggerisce a questo proposito qualcosa di certamente significativo.

Citazione
L’organizzazione scientifica del lavoro consiste fondamentalmente in un certo numero di principi generali di vasta portata, in una ben definita concezione teorica che può venire applicata in varie maniere.
[1967]

Henry Ford

Vedi anche
ALIENAZIONE – CATENA di MONTAGGIO – FORDISMO – POSTFORDISMO – TAYLOR

Domande
In che modo si può rendere più produttivo il lavoro operaio?
Come e perché sviluppare il mercato su basi di massa?

Idee
A Henry FORD, fondatore della FORD Motor Company, ancora oggi una delle più importanti società automobilistiche a livello mondiale, si deve l’ideazione della CATENA DI MONTAGGIO. È grazie a questa innovazione, allo stesso tempo semplice e geniale, che il sistema organizzativo ideato da TAYLOR, la OSL, compie il salto di qualità decisivo e si trasforma, da modello prevalentemente teorico, nella concreta modalità di organizzare il lavoro che tanta importanza ha avuto nella storia, non solo industriale, del ’900.
Alla base dello straordinario successo del modello FORD ci sono due intuizioni, idee, scelte, fondamentali: costruire automobili attraverso l’assemblaggio di componenti standardizzati in maniera tale da ridurre i tempi di lavorazione e contenere i costi; migliorare le condizioni salariali degli operai, allargare le loro possibilità di acquisto, sviluppare il consumo e il mercato su basi di massa.
FORD intuisce che mettere i lavoratori in condizione di acquistare la mitica FORD modello T avrebbe decretato il successo delle sue idee, della sua impresa, dell’industria automobilistica negli USA e nel mondo, comprende che una paga migliore determina un maggiore attaccamento al lavoro da parte dell’operaio, una significativa riduzione del conflitto sociale, una più proficua circolazione della ricchezza.
Dal punto di vista del metodo organizzativo, la strada per ridurre i tempi di lavorazione e abbassare i prezzi è già stata tracciata da TAYLOR; dal punto di vista pratico, la CATENA DI MONTAGGIO permette a FORD di fare in modo che gli operai imparino rapidamente e i risultati siano veloci e copiosi.
Dopo decenni nei quali FORD e il FORDISMO sono stati associati esclusivamente allo sfruttamento del lavoro (quello immortalato da Chaplin in Tempi Moderni, per intendersi) oggi prevale una più oggettiva valutazione del suo operato, anche alla luce del carattere innovativo che, per i suoi tempi, riveste l’attenzione prestata alle condizioni di lavoro, la decisione di ridurre l’orario giornaliero di lavoro, l’aumento della paga base, l’impegno nella creazione di scuole professionali, l’adesione a iniziative per la pace negli anni della prima guerra mondiale, le critiche al nazionalismo, il sostegno all’i-dea di un sistema economico e politico in grado di allargare il più possibile le aree di benessere.

Citazione
Trovarsi insieme è un inizio, restare insieme un progresso e lavorare insieme un successo.

Chester I. Barnard

Vedi anche
ARGYRIS – DRUKER – HERZBERG – LIKERT – MAYO – MASLOW – TAYLOR – WEBER

Domande
In che senso in ogni organizzazione esiste una pluralità di scopi?
Quali tipi di incentivo spingono le persone a cooperare?
Qual è la funzione del dirigente?

Idee
Secondo BARNARD per comprendere come funziona un’organizza-zione occorre conoscere le motivazioni che spingono gli individui che la compongono a contribuire al suo funzionamento.
Dirigente della Bell Telephone Company in una fase nella quale la figura del manager modifica in maniera strutturale le tipologie di governo dell’impresa, e le risorse umane, dopo le ricerche di MAYO, Roethlisberger e compagni, sono al centro del dibattito organizzativo, BARNARD parte proprio dal rapporto tra organizzazioni e soggetti per mettere a fuoco la sua teoria dell’organizzazione come sistema cooperativo.
Per esemplificarla egli usa, com’è noto, la parabola del masso, secondo la quale, di fronte a un masso che gli ostruisce la strada, un individuo può scegliere tra le seguenti opzioni:

1.    provare a rimuoverlo da solo e accorgersi che è troppo grosso per farcela;
2.    cooperare con altre persone che si trovano sulla sua stessa strada e condividono uno scopo o un fine comune, quello di procedere oltre;
3.    farsi aiutare da persone che non perseguono lo stesso scopo o fine ma sono disposti a cooperare in cambio di una ricompensa;
4.    non spostare il masso e tornare indietro (opzione solo teorica dato che determinerebbe la rinuncia ai propri fini o scopi).

A giudizio di BARNARD tale esempio dimostra che:

1.    le persone per spostare il masso devono organizzarsi, cioè comunicare tra loro (aspetto informale) e decidere di collaborare (aspetto formale) per conseguire uno scopo comune. Nel sistema cooperativo lo scopo non è dunque più quello delle singole persone ma quello dell’organizzazione che, in quanto prodotto della cooperazione tra i suoi componenti, va al di là della somma dei contributi dati dalle singole persone;
2.    gli scopi dell’organizzazione vanno distinti dagli scopi delle singole persone che la compongono, dato che le persone non si identificano completamente con i fini propri dell’organizzazione e mantengono una propria sfera di moventi o esigenze personali;
3.    sono gli scopi comuni a fare l’organizzazione;
4.    bisogna distinguere tra elementi formali e informali dell’organiz-zazione;
5.    la cooperazione è favorita non solo dagli incentivi materiali (stipendio, salario, cottimo ecc.), ma anche da quelli non materiali (prestigio, soddisfazioni morali, onorificenze, promozioni, ecc.);
6.    una volta superata la soglia minima della sopravvivenza o comunque delle primarie necessità personali e familiari, sono proprio gli incentivi non materiali che possono maggiormente spingere impiegati e operai a cooperare;
7.    il sistema cooperativo si basa su norme formali, condivise e riconosciute da tutti coloro che a vario titolo partecipano alle attività dell’impresa (non solo operai e impiegati, ma anche dirigenti, azionisti, clienti);
8.    l’efficacia di un’organizzazione è data dalla sua capacità di raggiungere gli obiettivi prefissi, l’efficienza dalla sua capacità di soddisfare le esigenze espresse dal singolo componente in quanto parte del sistema cooperativo;
9.    la combinazione tra efficacia ed efficienza determina quattro possibili tipologie organizzative: organizzazione efficace ed efficiente; efficace ma non efficiente; non efficace ma efficiente; non efficace e non efficiente.

Dato questo sfondo, per BARNARD l’autorità del dirigente aziendale, o del manager, non può che essere a propria volta formale, legittima, discreta, forte solo in quanto capace di attivare processi di cooperazione e ottenere consenso da parte di chi è destinatario del comando e deve all’occorrenza eseguirlo (per essere eseguito l’ordi-ne deve essere comprensibile, consono ai fini dell’organizzazione, compatibile con gli interessi legittimi delle persone che devono eseguirlo, eseguibile da parte delle persone a cui è diretto).
Dal momento che la coercizione non è in nessun caso una risposta alla mancanza di autorità e non genera consenso, chi dirige non può essere un burocrate che impone ordini a dei meri esecutori di compiti, ma un manager dotato di senso di responsabilità, in grado di determinare chiaramente i fini dell’organizzazione, di garantire le risorse per il suo funzionamento, di assicurare un corretto ed efficiente sistema di comunicazione, di gestire il rapporto tra contributi (ciò che chi lavora dà all’organizzazione) e incentivi (ciò che chi lavora riceve dall’organizzazione) in maniera tale che si allarghi l’area di indifferenza (disponibilità a obbedire agli ordini che vengono impartiti) di chi lavora.

Citazione
Un sistema cooperativo è un complesso di componenti fisiche, biologiche, personali e sociali che si trovano in relazione specifica e sistematica grazie alla cooperazione di due o più persone per almeno un fine definito. [1938]

Herbert A. Simon

Vedi anche
BARNARD – COGNITIVISMO – CYERT – DECISIONE – MARCH – WEBER – WEICK

Domande
In che senso le decisioni vengono assunte in base a criteri di razionalità limitata?
In cosa differiscono i giudizi di fatto da quelli di valore?
Perché le procedure sono importanti?

Idee
Premio Nobel per l’economia, sociologo, tra i fondatori della psicologia cognitiva, SIMON è stato una sorta di confutazione vivente della necessità della specializzazione intellettuale.
Come BARNARD, ritiene le organizzazioni strutture cooperative attraverso le quali l’azione umana accresce le proprie possibilità di raggiungere obiettivi e si dice convinto che la loro stessa esistenza dipende dall’equilibrio tra contributi e incentivi (insieme a MARCH definisce con il concetto di organizzazione in equilibrio quella in grado di determinare un corretto bilanciamento tra contributi, ciò che essa chiede e riceve dai propri componenti, e incentivi, ciò che invece essa offre e dà a loro). Oltre BARNARD, individua nei processi decisionali e nel concetto di razionalità limitata gli strumenti fondamentali per comprendere le strutture e i processi organizzativi.
Per SIMON le organizzazioni sono il risultato contingente della partecipazione e dell’iniziativa umana. Sono le persone con le loro azioni e le loro decisioni a determinarne i caratteri, i successi e i fallimenti. Persone che nell’ambito della sfera privata così come componenti di organizzazioni più o meno grandi e complesse decidono avendo a disposizione criteri di razionalità limitata.
A limitare la razionalità non c’è solo il fatto, questo sì oggettivo, che c’è sempre qualcosa che non si conosce e che pure sarebbe utile sapere, una possibilità imprevista, un rischio umanamente non calcolabile, un errore umano che impedisce di scegliere secondo criteri di razionalità assoluta. Ma ci sono anche la struttura della catena mezzi – fini quasi sempre incompleta; la scelta dei mezzi limitata; l’impossibilità di separare del tutto i mezzi dai fini; l’impossibilità di conoscere ex ante tutte le conseguenze di una scelta data; la difficoltà a determinare una gerarchia delle preferenze; le dinamiche di gruppo che condizionano le decisioni assunte attraverso i meccanismi di cooperazione o competizione.
Le decisioni sono per SIMON il risultato di un continuo intreccio tra giudizi di fatto (descrizioni sempre verificabili del mondo sensibile e del modo nel quale esso opera) e giudizi di valore (opzioni non verificabili per uno stato di cose ritenuto desiderabile) e, proprio perché gli individui sono dotati di razionalità limitata, sono assunte sulla base del principio di sufficienza piuttosto che di ottimizzazione dell’efficienza. Da un lato, le persone che non riescono a raggiungere gli obiettivi che si erano proposti abbassano il livello delle loro pretese uniformandolo alle loro possibilità; dall’altro, è l’insieme delle decisioni (tutte a razionalità limitata) a determinare nel tempo l’equilibrio tra incentivi e contributi.
SIMON sostiene ancora che, mentre sul terreno dei principi è in fondo semplice distinguere tra decisioni relative ai mezzi necessari per raggiungere un fine, che si basano su giudizi di fatto, e decisioni relative alla scelta dei fini, che si basano invece su giudizi di valore, nella realtà esiste un continuum tra mezzi e fini dato che un fine raggiunto in base a una decisione di valore si trasforma a propria volta in un mezzo necessario per raggiungere un fine ulteriore.
Da ciò SIMON fa derivare almeno altre tre rilevanti considerazioni:

1.    la giustezza di un fine o la bontà di uno scopo non può essere valutata in maniera separata dai mezzi utili a raggiungerli (il fine cioè non giustifica i mezzi);
2.    agire in un contesto nel quale le decisioni precedenti sono il mezzo per quelle successive garantisce razionalità all’azione stessa e identità sociale a chi la compie;
3.    dato il contesto a razionalità limitata, la catena mezzi – fini non può che essere vaga e incompleta, nel senso che si perde il collegamento tra attività quotidiane e fini ultimi, in particolar modo quando questi sono lontani nel tempo.

Se questo è lo sfondo, che fare per ridurre l’incertezza? Per SIMON bisogna fare tesoro dell’esperienza passata, sviluppare processi di apprendimento in grado di codificare e rendere disponibili i saperi necessari ad affrontare criticità, problemi, fasi di crisi o anche di crescita che un’organizzazione si trova ad affrontare nel corso della propria esistenza. Da qui l’importanza delle procedure, che riducono, talvolta sino ad assorbirli, i margini di incertezza di chi deve assumere la decisione, e favoriscono l’assunzione di decisioni il più possibile programmate, di routine.
SIMON ritorna a più riprese sulla questione, mettendo in risalto come l’uomo amministrativo tenda all’adattamento, definisca di volta in volta il suo livello di partecipazione all’organizzazione, si comporti secondo programmi d’azione razionali in base al modello semplificato della realtà che si costruisce, date le sue limitate capacità cognitive; e come di converso le organizzazioni, con i loro programmi e le loro procedure prestabilite, siano indispensabili per coordinare il comportamento umano, mantenere un livello di razionalità elevato, limitare la necessità di assumere decisioni estemporanee, moderare l’incertezza.

Citazione
Il comportamento razionale esige modelli semplificati che includano gli elementi essenziali del problema senza rifletterne tutta la complessità. [1958]

Philip Selznick

Vedi anche
Czarniawska – MEYER e ROWAN – NeoIstituzionalismo – PFEFFER e SALANCIK – POWELL e di maggio – ZUCKER

Domande
Perché le organizzazioni modificano gli scopi per i quali sono nate?
Di che tipo possono essere i processi di cooptazione?
Quali sono le caratteristiche della leadership?

Idee
Con SELZNICK fa il suo ingresso nell’analisi organizzativa l’ambien-te sociale e culturale inteso come insieme di istituzioni di vario tipo e di diversa rilevanza che in variegati modi influenzano gli orientamenti e i comportamenti dei soggetti e delle organizzazioni.
Il suo approccio istituzionalista è ancora una volta il risultato del proficuo incontro tra costruzione teorica e verifica empirica.
Nel primo ambito vanno annoverate almeno tre idee guida fondamentali:
1. le organizzazioni sono sistemi sociali che sopravvivono grazie alla capacità di soddisfare i loro bisogni fondamentali;
2. il potere delle istituzioni, intese come centri di potere esterni alle imprese, condiziona i modi di essere, le scelte, le possibilità stesse di sopravvivenza delle organizzazioni;
3. le organizzazioni cambiano sulla base delle logiche degenerative presenti al loro interno.

Nel secondo ambito possono invece essere annoverati:

1.    lo studio di Roberto Michels sulla burocratizzazione dell’apparato politico del partito socialdemocratico tedesco impegnato più a salvaguardare se stesso che a tutelare gli interessi della base. Di particolare rilevanza, dal punto di vista di SELZNICK, il fatto che tale processo rappresenti il prodotto non tanto dell’opportu-nismo dei dirigenti, quanto della tendenza impersonale a privilegiare la difesa del partito piuttosto che il perseguimento degli obiettivi per i quali esso è nato;
2.    la sua ricerca sul funzionamento della Tennessee Valley Authority (TVA), ente statale nato per facilitare lo sviluppo di quell’area rurale e oggetto di numerose contestazioni sia formali (viene accusato di sovrapporsi alle competenze delle autorità locali e di alterare le regole del mercato) che informali (in questo caso l’accusa è quella di mettere in discussione la struttura e l’equilibrio dei poteri a livello locale). Affinché l’ente venga accettato, è necessario delocalizzarlo e avviare un processo di cooptazione delle forze locali (a livello formale e informale) che determina l’emergere di clientele che influenzano le strategie della TVA in maniera tanto profonda da determinare l’abbandono degli scopi per i quali essa era nata.

È a partire da queste considerazioni che SELZNICK concettualizza i capisaldi della sua teoria e sostiene che:

1.    le organizzazioni si dividono in due categorie, quelle che prestano esclusivamente servizi tecnici e quelle che hanno progettualità politica (istituzioni). Nelle prime hanno rilevanza l’efficienza amministrativa e le procedure tecniche e vengono assunte decisioni ordinarie, di routine (relative cioè all’efficienza tecnica); nelle seconde contano invece i valori, l’identità, il progetto e vengono assunte decisioni critiche che attengono alla volontà politica di individuare degli scopi e di attivarsi per raggiungerli e che dunque sono proprie dell’ambito della leadership;
2.    la leadership può essere individuale o di gruppo, si forma solo nelle istituzioni, si evidenzia attraverso quattro funzioni fondamentali: definisce missione e ruolo; costruisce un’identità all’isti-tuzione; tutela la continuità e l’integrità dell’istituzione; compone i conflitti interni. I maggiori rischi per la leadership sono dati dalla fuga in avanti verso la tecnologia e le risorse, dall’opportunismo o, di converso, dall’utopismo;
3.    il fatto che l’organizzazione sia un mezzo indispensabile per raggiungere degli obiettivi non le impedisce di deformare gli obiettivi verso i quali tende. È quella che SELZNICK definisce recalcitranza dei mezzi, data dalla controversa e contemporanea necessità di agire per perseguire i fini dell’organizzazione (qui possono essere annoverati gli utopisti, difensori dei fini originari) e per rafforzare lo strumento che ci si è dati (qui militano invece i cinici, difensori dell’apparato organizzativo);
4.    quando comportamenti informali o deviazioni (da parte di singoli soggetti che non si attengono ai ruoli a loro assegnati; da parte di cricche interne che sulla base di relazioni personali tentano di condizionare o controllare l’organizzazione; da parte di centri di potere esterni) diventano pratiche sociali che si reiterano in maniera costante possono essere percepiti come istituzioni (in questo senso anche la mafia è un’istituzione);
5.    per prevenire minacce alla sua esistenza un’organizzazione coopta nuovi elementi nel suo apparato di direzione;
6.    il processo di cooptazione può avere carattere formale (quando lo scopo è quello di allargare l’area del consenso e l’ingresso dei nuovi elementi avviene ufficialmente ampliando gli organi direttivi o individuando nuovi ruoli) o informale (quando, allo scopo di fare fronte a minacce che provengono da centri di potere esterno, si sceglie di venire a patti con essi);
7.    nel caso della cooptazione formale a cambiare non è lo scopo del-l’organizzazione e neanche l’ampliamento della base di chi decide ma la base sociale del consenso sulle decisioni da prendere. Nel caso della cooptazione informale lo scopo è quello di garantire la sopravvivenza dell’organizzazione anche a costo di stravolgerne fini e scopi originari;
8.    la cooptazione formale legittima gli orientamenti, i valori, l’ideo-logia dell’organizzazione, quella informale li contraddice quando non li nega;
9.    quanto più i processi di cooptazione rispondono a logiche informali tanto più la condotta pratica dell’organizzazione si discosta dai principi per i quali è nata.

Citazione
Far funzionare un’organizzazione è un’attività necessaria e specializzata, tale da porre dei problemi che nulla hanno a che fare con i fini originari o dichiarati dall’organizzazione stessa e che spesso sono del tutto opposti a questi. Il comportamento di routine del gruppo è tutto dedicato a problemi specifici e fini parziali che hanno importanza solo sotto un profilo interno. D’altra parte dal momento che queste attività consumano la maggior parte del tempo dei membri delle organizzazioni, esse divengono dal punto di vista del comportamento effettivo di essi i veri fini dell’organizzazione, sostituendosi a quelli proclamati tali. [1974]

Oliver E. Williamson

Vedi anche
ECT – OUCHI – PFEFFER e SALANCIK – STINCHCOMBE – TEORIA delle POPOLAZIONI ORGANIZZATIVE

Domande
In che senso l’impresa si trasforma da funzione della produzione in struttura di governo delle transazioni?
Quali sono le variabili che l’impresa è chiamata a valutare per decidere se produrre (to make) o comprare (to buy), se fare scelte di gerarchia o scelte di mercato?

Idee
Le transazioni per WILLIAMSON sono definibili a partire dalla specificità delle risorse oggetto di scambio, dal grado di incertezza al quale gli scambi sono soggetti, dalla frequenza con la quale essi si svolgono; sono di numero potenzialmente infinito; possono essere informali (quando si definisce un semplice accordo) o formali (quando si stipula un vero e proprio contratto).
Naturalmente ogni transazione ha un costo risultante dalle attività di negoziazione, attuazione e controllo che è alla base dello scambio e le parti impegnate nella transazione hanno l’obiettivo di minimizzarne il costo, indipendentemente dal carattere formale o informale della transazione stessa.
È proprio rispetto ai costi delle transazioni che l’impresa è chiamata a decidere se scegliere di produrre (to make, verticalizzare, portare dentro i confini dell’azienda) o comprare (to buy, decentrare, esternalizzare). Naturalmente non sempre si tratta di una scelta semplice, anche perché a complicare le cose ci sono una pluralità di fattori soggettivi (limiti della razionalità umana, errori umani, tendenza ad assumere comportamenti opportunistici, in particolare nei casi in cui il numero di soggetti coinvolti nella transazione è molto basso, il potere contrattuale e le informazioni sono distribuite in maniera asimmetrica, c’è una forte specializzazione che mette una parte nelle condizioni di fare la prima mossa e stabilizzare il proprio vantaggio) e oggettivi (l’incertezza che permea l’ambiente decisionale, il livello di specificità delle risorse tecnologiche oggetto di transazione, la necessità di tenere assieme la maggiore qualificazione delle risorse umane utilizzate, le caratteristiche di gruppo della prestazione, la necessità di definire sistemi di incentivi in grado di superare la struttura ad personam e di guardare ai risultati del gruppo).
WILLIAMSON adotta il concetto di gruppo relazionale in quanto gruppo in grado di auto-controllarsi e di integrare le norme organizzative generali con quelle informali da esso stesso create proprio per evitare che nelle organizzazioni ad alta specificità delle risorse umane impiegate sorgano conflitti di valutazione.
Egli sostiene che conviene che l’impresa si rivolga al mercato (comperi il bene o il servizio all’esterno) quando le tecnologie di cui ha bisogno sono generiche e la frequenza delle transazioni ridotta, e che al contrario è conveniente fare da sé, produrre al proprio interno, quando la tecnologia è specifica, la frequenza delle transazioni elevata così come il rischio di controversie legali necessarie a far rispettare i contratti.
Detto in altro modo, quanto più elevata è la specificità delle risorse, più la cooperazione tra soggetti agenti (contraenti) è a lungo termine, più le transazioni tra le parti sono intense, specifiche e soggette a incertezza, tanto più costosa è la transazione affidata al mercato e più evidenti sono i vantaggi dell’uso di organizzazioni gerarchiche, programmate a durare nel tempo come le imprese.
Di tutto questo devono tener conto le imprese che, secondo WILLIAMSON, hanno la possibilità di scegliere lungo un continuum che da un lato ha proprio la gerarchia (to make) e dall’altro il mercato (to buy). Si tratta di scelte, egli avverte, mai stabili o definitive proprio a causa delle incertezze ambientali, della razionalità limitata, dei comportamenti scorretti o opportunistici che possono provocare crisi tanto del mercato quanto della gerarchia. In ogni caso, le due scelte estreme non sono le uniche disponibili data la vasta disponibilità di transazioni definite da intese informali o da accordi tra imprese, su base azionaria e non azionaria (joint ventures, ATI, ATS e più in generale tutte le forme di collaborazione a tempo intorno a progetti o obiettivi specifici, ma anche il franchising e più in generale tutti i tipi di contratti tra imprese formalmente indipendenti ne sono un esempio).

Citazione
La classica contrattazione di mercato sarà più efficace quando le risorse non avranno un elevato grado di specificità. La contrattazione di tipo bilaterale comparirà nel mercato non appena le risorse diventeranno semi-specifiche; e, infine, l’organizzazione interna sostituirà il mercato quando le risorse oggetto di scambio saranno altamente specifiche. [1985]

Edgar H. Schein

Vedi anche
GIDDENS – KUNDA – MARTIN – SCHÖN – WEICK

Domande
Perché comprendere un’organizzazione vuol dire comprendere la sua cultura?
Come si formano gli assunti di base di un’organizzazione?

Idee
Lo schema concettuale di SCHEIN si articola intorno all’idea che studiare un’organizzazione vuol dire studiare la sua cultura, data dall’insieme di assunti che essa inventa, scopre, sviluppa, nel corso della propria storia, per rispondere ai bisogni di adattamento esterno e di integrazione interna. Perché ci sia una cultura organizzativa è indispensabile che ci sia un gruppo che sta insieme da tempo, ha condiviso e affrontato problemi importanti, ha monitorato gli effetti che le diverse soluzioni hanno determinato, ha inventato o scoperto risposte valide che vengono trasmesse in quanto tali ai nuovi arrivati (le risposte vanno ritenute valide non solo quando risolvono i problemi, ma anche quando riducono l’ansia del gruppo).
Più specificamente, SCHEIN sostiene che lo studio di una cultura organizzativa può essere condotto a tre diversi livelli di analisi:

1.    artefatti (architettura, tecnologia, gergo, simboli, rituali e più in generale tutti gli aspetti immediatamente rilevabili);
2.    valori espliciti (idee guida, modelli di comportamento, indicazioni fatte circolare dal management per rinsaldare identità, senso di appartenenza, solidarietà tra i componenti dell’organizzazione);
3.    assunti di base (convinzioni dotate di una propria coerenza interna tanto profonda che non vengono esplicitate, talvolta perché sono date per scontate, altre volte perché gli stessi componenti dell’or-ganizzazione non ne sono consapevoli).

A giudizio di SCHEIN sono proprio gli assunti di base che, combinandosi tra loro in variegati modi, danno conto dell’anima del-l’organizzazione e determinano quei sistemi di convinzione che, a loro volta, devono possedere una coerenza interna (nelle combinazioni degli assunti come nel rapporto tra assunti, valori espliciti e artefatti) affinché scetticismo, sfiducia, cinismo, non mettano in crisi l’or-ganizzazione o ne minaccino la sopravvivenza. Gli assunti ritenuti validi, capaci di reggere alla prova dei fatti, diventano per l’organiz-zazione un punto di riferimento e vengono trasmessi ai nuovi componenti come la maniera corretta di percepire, pensare, reagire rispetto ai problemi, tanto quelli relativi all’adattamento con l’am-biente esterno (obiettivi, strategie e mezzi necessari a conseguirli, valutazione delle prestazioni ecc.) quanto quelli relativi all’integra-zione interna (capacità del gruppo di funzionare come tale, consenso intorno ai criteri di inclusione e di esclusione dei suoi componenti, distribuzione del potere, definizione di premi e punizioni). I problemi possono essere insomma affrontati solo se gli assunti del-l’organizzazione, la sua cultura, funzionano abbastanza bene da essere considerati validi.
Dato un contesto nel quale esiste un’oggettiva tensione tra la tendenza alla conservazione del patrimonio consolidato e la spinta all’innovazione, tocca alla leadership gestire in maniera equilibrata questa tensione, definire percorsi di adattamento reciproco in grado di valorizzare tanto la cultura storicamente consolidata quanto le culture che nuovi componenti o leader portano con sé da esperienze diverse.
In definitiva, per SCHEIN è attraverso l’analisi dei processi di inclusione e di socializzazione dei nuovi componenti, le risposte date nelle fasi critiche della sua storia, la valutazione dei suoi caratteri anomali o sorprendenti che è possibile studiare e comprendere la cultura di un’organizzazione; la capacità di gestire brillantemente situazioni non prevedibili o altamente incerte rappresenta in questo contesto un importante valore aggiunto, uno strumento di management molto più efficace di qualsiasi formula o regola organizzativa.

Citazione
La cultura organizzativa è l’insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna, e che hanno funzionato abbastanza bene da poter essere considerati validi, e perciò tali da poter essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi. [1990]

Karl E. Weick

Vedi anche
CYERT – COGNITIVISMO – MARCH – MARTIN – SCHEIN – SCHÖN – SIMON

Domande
Con quali modalità, e in che misura, i processi di conferimento di senso influiscono sulla vita e sulla struttura delle organizzazioni?
Quali sono le caratteristiche principali del sensemaking?
A cosa ci si riferisce con il concetto di mappe causali?

Idee
Il Discorso all’umanità di Charlie Chaplin ne Il grande dittatore può essere considerato uno dei più meravigliosi, commoventi, coinvolgenti esempi di costruzione di senso di ogni tempo. Questioni di sensemaking. Che dal versante organizzativo hanno trovato in Karl E. WEICK uno straordinario interprete.
Per WEICK la realtà non ha un senso in sé, ma ha sempre e soltanto il senso che a essa attribuiscono le persone, e dunque oggetto di studio non possono che essere i processi cognitivi, le mappe causali, attraverso cui i soggetti conferiscono senso ai loro flussi di esperienza. Ciò naturalmente non equivale a dire che la realtà non ha alcuna incidenza sui flussi di esperienza, dato che soggetti e ambiente attivato sono legati da un costante processo di retroazione e che in questo modo l’ambiente costringe i soggetti a prendere atto di vincoli e compatibilità e ad agire di conseguenza. Vuol dire più semplicemente che le mappe causali, in altre parole le costruzioni dotate di senso e di ordine logico prodotte dall’attività cognitiva, orientano il nostro comportamento e sono modificate dalle esperienze che di volta in volta accumuliamo.
Da qui WEICK parte per sottolineare da un lato l’importanza decisiva assunta dall’analisi dei processi di creazione di senso (sensemaking) e dall’altro l’assoluta coincidenza tra processi di creazione di senso e processi di organizzazione (organizing).
Per mostrare come le organizzazioni strutturano e sono strutturate da processi di sensemaking Weick utilizza tre strade:

1.    nella prima presenta una cronologia che ripercorre lo sviluppo dell’idea di sensemaking nelle organizzazioni;
2.    nella seconda utilizza tali risorse per descrivere la natura delle organizzazioni e dell’organizzare in modo coerente con i processi di sensemaking ad esse associate;
3.    nella terza esamina la ricerca di Porac sull’industria dell’abbi-gliamento in Scozia per mostrare concretamente come le sette proprietà del sensemaking si manifestano nelle organizzazioni.

WEICK individua sette caratteristiche fondamentali del sensemaking, che definisce come un processo fondato sulla costruzione dell’identità, retrospettivo, istitutivo di ambienti sensati, sociale, continuo, centrato su (e da) informazioni selezionate, guidato dalla plausibilità più che dall’accuratezza.
A suo avviso, dare ordine logico, senso, a un flusso di esperienza e organizzare sono esattamente la stessa cosa. I processi attraverso i quali un manager definisce scelte strategiche, decide priorità e aree verso le quali dirigere gli investimenti, assegna compiti ai propri collaboratori, sono la stessa cosa dei processi con i quali egli conferisce senso ai rapporti che ha con collaboratori, rappresentanti di aziende concorrenti, fornitori, banche.
Ma se dare senso a un flusso di esperienza equivale a organizzare, ecco che il processo organizzativo (organizing) diventa più importante della struttura organizzativa (organization) e scompaiono, in linea di principio, le differenze tra organizzazione della vita quotidiana e gestione di un’organizzazione vera e propria come ad esempio un’impresa industriale, un’amministrazione pubblica o privata, una struttura commerciale (le differenze sono date semplicemente dalle cose concrete da fare, dal loro grado di complessità, dalla quantità delle procedure formali da rispettare).
Ricapitolando, le idee forza intorno alle quali WEICK costruisce il proprio sistema concettuale possono essere così come di seguito sintetizzate:

1.    i processi di creazione di senso e i processi di organizzazione (organizing) sono la stessa cosa e dunque l’analisi dei processi di creazione di senso (sensemaking) assume una rilevanza fondamentale nell’ambito dell’analisi organizzativa;
2.    i soggetti attivano l’ambiente nel quale si trovano ad agire e dunque la realtà non solo non è indefinitamente plasmabile ma condiziona i soggetti che l’hanno attivata (proprio il concetto di ambiente attivato fa dire a WEICK che quando si parla di tecnologia ci si riferisce non solo a un insieme di macchine inanimate ma anche alla capacità umana di usarle, governarle, sfruttarne al meglio le potenzialità);
3.    il linguaggio è centrale nei processi di organizzazione (organizing) e di creazione di senso (sensemaking);
4.    il sensemaking è un processo continuo che può subire (ed essere generato da) sussulti e shock (l’immagine può essere quella delle ondate che si sovrappongono una sull’altra);
5.    alcuni soggetti dotati di particolare potere possono attivare ambienti che sono proposti come lettura della realtà anche ad altri individui, ma tale potere non è mai assoluto grazie proprio al sensemaking che ciascuna persona conserva.

Citazione
Non esiste una teoria delle organizzazioni che sia caratteristica del paradigma di sensemaking. Nondimeno, esistono dei modi di parlare delle organizzazioni che permettono al sensemaking di essere al centro sia della costruzione dell’organizzazione che degli ambienti che essa affronta. […]
Le organizzazioni e i processi di sensemaking sono fatti entrambi della stessa stoffa. Organizzare significa imporre ordine, neutralizzare le deviazioni, semplificare e connettere, e lo stesso vale quando le persone cercano di dare senso. Organizzare e dare senso hanno molto in comune. [1997]

Ikujro Nonaka e Hirotaka Takeuchi

Vedi anche
APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO – ARGYRIS – GESTIONE della CONOSCENZA AZIENDALE – KM – LEARNING ORGANIZATION – ORGANIZZAZIONE RETE – SCHÖN – SIEMENS

Domande
Perché un’organizzazione è una comunità di interazione?
In che senso la conoscenza può essere non solo esplicita ma anche tacita?
Cosa si intende per Intenzionalità, Autonomia, Ridondanza, Caos, Varietà?

Idee
Nell’ambito delle teorie dell’apprendimento organizzativo, decisamente importante è il contributo teorico di Ikujiro Nonaka e Hirotaka Takeuchi, secondo i quali ciascuna organizzazione è strutturata in comunità di interazione che incarnano altrettanti nodi di elaborazione del sapere.
Con una sintesi estremamente lucida delle due visioni fino ad allora prevalenti (secondo la prima, di tipo top-down, le informazioni sono elaborate dal vertice e fluiscono attraverso direttive ai livelli di volta in volta successivi fino alle linee di produzione che restituiscono informazioni e riavviano il processo; per la seconda, di tipo bottom-up, chi dirige tenta di valorizzare il più possibile le capacità di chi lavora, le conoscenze sono più spesso di tipo tacito, le risorse della base sono fondamentali per raggiungere gli obiettivi) i due studiosi giapponesi strutturano il loro modello attorno all’idea che sono gli individui, e non le organizzazioni, che con la loro capacità di apprendere, adattarsi, creano conoscenza. Per massimizzare i benefici derivanti da tali processi le organizzazioni hanno tutto l’inte-resse a favorire contesti e processi di sviluppo della creatività e della conoscenza dei singoli.
Il modello organizzativo proposto da NONAKA e TAKEUCHI è non a caso definito middle-bottom-up e affida al middle management una funzione fondamentale di cerniera tra conoscenza esplicita e strategica del top management e conoscenza tacita caratteristica degli operai di linea: è ai capi intermedi che essi assegnano in buona sostanza il compito di gestire il processo di trasformazione della conoscenza, di tenere assieme strategia e innovazione.
Per NONAKA e TAKEUCHI la conoscenza può essere infatti esplicita o tacita. La prima (razionale – mentale, sequenziale, digitale – teorica) si riferisce a tutto ciò che è manifestabile attraverso sistemi formali di comunicazione, presenta struttura e contenuti logici e linguistici, è trasmessa per mezzo di libri, manuali, corsi. La seconda (corporea, legata all’esperienza, simultanea, analogica – pratica) è invece il prodotto di intuizioni, nozioni personali, esperienza, cultura e valori morali; viene trasmessa attraverso metafore, analogie, esempi pratici; può essere tecnica (quando si riferisce alla manualità, alle abilità pratiche, alle arti) o cognitiva (quando si riferisce all’elaborazione, a modelli, schemi, paradigmi mentali, alle prospettive che ciascuno crea).
Dato questo contesto, per NONAKA e TAKEUCHI si crea conoscenza, si sviluppa know how e apprendimento nella misura in cui si riesce a risolvere problemi specifici sulla base di un contesto di riferimento che, per questa via, viene ad essere esso stesso modificato. L’organizzazione che apprende deve perciò essere in grado di operare continue conversioni di conoscenza (da esplicita a tacita e viceversa) perché per questa via è possibile creare campi di interazione nell’ambito dei quali si possono condividere conoscenza e modelli mentali, si può socializzare, creare nuova conoscenza.
Per fare un esempio, attraverso metafore e analogie si può creare, sulla base di un processo di conversione che è definito di esteriorizzazione, conoscenza esplicita che genera prodotti, servizi, innovazione; essa si combina con ulteriore conoscenza esplicita, produce nuova esperienza e dunque nuova conoscenza tacita (in questo caso il processo viene definito di interiorizzazione). È la spirale senza fine che è alla base dell’innovazione contenuta nei nuovi prodotti, della spinta verso la creazione di ulteriore conoscenza.
Naturalmente non si tratta di un processo automatico. Perché esso si avvii c’è bisogno di consistenti motivazioni allo scambio di conoscenza, di leadership ben definite, di obiettivi chiari.
Più specificamente NONAKA e TAKEUCHI individuano cinque parole chiave attorno alle quali articolano la loro idea di sviluppo della conoscenza:

1.    intenzionalità: gli obiettivi del processo devono essere definiti e condivisi da tutti i partecipanti anche se talvolta una dose di indeterminatezza favorisce lo sviluppo di nuove idee;
2.    autonomia: le conoscenze emergono soltanto se chi lavora lo fa in piena autonomia, è capace di cogliere le opportunità che essa offre e le sa gestire;
3.    ridondanza: più le informazioni disponibili sono sovrabbondanti più ampie sono le possibilità di gestire positivamente le spinte all’innovazione generate dal processo;
4.    caos: la definizione di schemi mentali e processi organizzativi alternativi e più rispondenti ai bisogni richiede «caos creativo» (che nasce spesso da situazioni di crisi);
5.    varietà: l’apporto di conoscenze diverse (marketing, tecniche, amministrative ecc.) è decisivo per individuare risposte efficaci ai dilemmi organizzativi.

In definitiva, il processo di trasformazione e di apprendimento muove dalle persone, coinvolge il gruppo e l’organizzazione, diventa conoscenza (capacità dei dipendenti, sistemi tecnologici, sistemi manageriali, valori, norme) e dunque occasione di vantaggio competitivo, fa sì che ciascuna organizzazione rappresenti un nodo della rete di produzione e scambio di conoscenza, servizi e beni con altre organizzazioni sulla base di un processo che è allo stesso tempo conservativo (dell’identità) e adattivo, cioè capace di facilitare l’evolu-zione delle competenze distintive e ridefinire costantemente il proprio rapporto con l’ambiente.

Citazione
L’innovazione organizzativa non coincide semplicemente con un processo di elaborazione delle informazioni esterne, diretto a risolvere i problemi correnti e a favorire un adattamento a un contesto in via di modificazione. L’organizzazione che cambia crea realmente, traendole dal proprio interno, nuove conoscenze e informazioni allo scopo di ridefinire i problemi e le soluzioni e di ricreare, così facendo, il contesto. [1997]

Raymond Miles e Charles C. Snow

Vedi anche
COMPETENZE – ECT – FORDISMO – KUNDA – OUTSOURCING – POST-FORDISMO – SUPPLY CHAIN MANAGEMENT

Domande
Come può essere classificata la storia dell’industria dalla sua nascita ad oggi?
Quali sono i modelli organizzativi emergenti nella fase attuale?
Quali i caratteri principali dell’organizzazione minimale?

Idee
MILES e SNOW individuano quattro grandi ondate nella storia della società industriale.
La prima è quella che si riferisce all’industrializzazione originaria.
La seconda, la fase classica, va da metà Ottocento al 1970 e ha per emblema il FORDISMO. Dal versante dell’impresa, la regola è quella di produrre al proprio interno, di diventare più grande mano a mano che migliorano la capacità competitiva e i margini di redditività, di organizzare le attività sulla base di specifiche regole e procedure tecniche e amministrative. Dal versante del lavoro dipendente di norma tutto questo si traduce nella possibilità di avere un solo posto di lavoro per tutto l’arco della vita e di fare carriera sulla base delle proprie competenze tecniche specifiche e delle scelte dei propri capi ai diversi livelli.
La terza è la fase postfordista, ha inizio negli ultimi decenni del XX secolo, è caratterizzata dalla crisi del gigantismo industriale, della centralizzazione produttiva, dell’organizzazione to make. L’im-presa post fordista si concentra sul core business ed esternalizza tutto il resto, crea reti collaborative con partner, fornitori, clienti, ambiente, si organizza intorno a criteri to buy.
Dal versante del lavoro ciò si traduce in vite lavorative nelle quali è necessaria un’elevata specializzazione, si lavora per più imprese, le competenze non sono più soltanto tecniche ma anche commerciali, collaborative, di capacità relazionali e di governo.
La quarta ondata è infine quella caratterizzata dall’affermazione delle organizzazioni minimali (sferiche, cellulari), dalla minore importanza dei rapporti di tipo gerarchico, dall’individuazione e dallo sviluppo delle competenze essenziali (core competente) e delle professioni necessarie, dal governo delle carriere.
A giudizio di MILES e SNOW le persone che lavorano in questo contesto saranno sempre più spesso imprenditrici di se stesse, in grado di svolgere più iniziative e ricoprire più ruoli, capaci di migliorare attraverso processi di competizione – collaborazione, di investire su se stessi puntando su conoscenza e responsabilità, di ampliare le proprie capacità professionali, di definire in maniera autonoma la propria carriera (nelle organizzazioni minimali la possibilità di ciascuno di fare tutto deriva proprio dalla capacità di connettersi in ogni momento con qualunque anello della catena di creazione del valore).

Citazione
Le organizzazioni minimali sono capaci di spedire rapidamente le risorse in ogni direzione nell’esatto punto in cui sono richieste. [1996]

Ics Concetti

Dopo i 12 Autori i x concetti, in rigoroso ordine alfabetico.
Eccoli: Apprendimento organizzativo; Burocrazia; Cognitivismo; Decisione; Economia dei Costi di Transazione; Fordismo; Knowledge Management; Learning Organization; Motivazionalismo; Neoistituzionalismo; Organizzazione Scientifica del Lavoro; Postfordismo;

Apprendimento organizzativo

Vedi anche
ARGIRYS – GESTIONE DELLA CONOSCENZA AZIENDALE – KNOWLEDGE MANAGEMENT – SCHÖN

Concetti e parole chiave
Cambiamento – Conoscenza – Identità – Informazione

Spiegazione
La fondazione sociologica del concetto di APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO colloca il sapere entro un network di potere e relazioni sociali mediate da artefatti e da intermediari umani e non umani che ne facilitano o ne ostacolano la circolazione.
Più specificatamente, attraverso tale concetto ci si riferisce all’insieme dei processi che consentono di leggere i contesti organizzativi, le relazioni tra persone, organizzazioni e società, e i loro significati, dal punto di vista della conoscenza. Essendo la conoscenza diretta verso un fine, non si riferisce solo alle credenze e al coinvolgimento, ma anche all’azione, e consente perciò di valutare criticamente successi e insuccessi di una data organizzazione, di ridefinirne costantemente azioni ordinarie e indirizzi strategici, di accogliere e valorizzare punti di vista ulteriori rispetto a quelli prevalenti, di sperimentare innovazioni tecniche e organizzative, di collocare gli eventi all’interno di un contesto mentale e dare dunque loro un senso, di sostenere le persone nei loro potenzialmente mai finiti tentativi di crescita culturale e professionale. Il processo decisionale dell’organizzazione viene per questa via modellato su quello individuale mentre l’azione é orientata verso l’obiettivo e tende all’adattamento (quello a breve termine corrisponde alla risoluzione di problemi, quello a lungo termine all’apprendimento).
A partire da questa iniziale formulazione e in linea con gli orientamenti cognitivisti si sviluppa un filone di studi, denominato teoria cognitiva dell’APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO, che situa l’apprendimento in primo luogo nella mente degli individui.
Accanto a una formulazione che ricade principalmente entro una epistemologia positivista compare dunque in anni più recenti una declinazione del concetto in termini di apprendimento sociale, veicolato dalla formulazione di apprendimento come partecipazione competente ad una comunità di pratiche (ancora una volta la declinazione simoniana di cognizione come chiave per studiare gli aspetti razionali e non-razionali della condotta sociale mostra di avere la flessibilità per accentuare di volta in volta gli uni o gli altri.

Ad ARGIRYS e SCHÖN (1974; 1978) si deve la definizione dell’organizzazione come costrutto cognitivo che attraverso l’individuazione e la correzione di errori e anomalie modifica la memoria e la propria mappa concettuale.
Le idee guida fondamentali intorno alle quali essi sviluppano le proprie tesi possono essere così sintetizzate:
1. le organizzazioni sono in grado di apprendere in quanto strutture e per questa via modificano i propri modi di essere e di operare;
2. in un’organizzazione che apprende tutti i componenti contribuiscono a ridefinire, arricchire, tradurre in linguaggio comune le diverse abilità;
3. a differenza di quanto avviene in contesti di apprendimento individuale, nei quali l’individuazione e la correzione dell’errore rimane esperienza del singolo, l’APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO incide e determina conseguenze, più o meno positive a seconda delle scelte operate, sull’intera struttura;
4. l’individuazione e la correzione di errori che non mettono in discussione gli aspetti chiave della mappa cognitiva usata nell’organizzazione mette in moto un processo di apprendimento a giro singolo (single-loop learning), mentre la scoperta e la correzione di errori che producono un mutamento di tale mappa determinano un processo di apprendimento a giro doppio (double-loop learning).
Decisamente importante è anche il contributo teorico di Ikujiro Nonaka e Hirotaka Takeuchi, secondo i quali ciascuna organizzazione è strutturata in comunità di interazione che incarnano altrettanti nodi di elaborazione del sapere.
Con una sintesi estremamente lucida delle due visioni fino ad allora prevalenti (secondo la prima, di tipo top – down, le informazioni sono elaborate dal vertice e fluiscono attraverso direttive ai livelli di volta in volta successivi fino alle linee di produzione che restituiscono informazioni e riavviano il processo; per la seconda, di tipo bottom – up, chi dirige tenta di valorizzare il più possibile le capacità di chi lavora, le conoscenze sono più spesso di tipo tacito, le risorse della base sono fondamentali per raggiungere gli obiettivi) i due studiosi giapponesi strutturano il loro modello attorno all’idea che sono gli individui, e non le organizzazioni, che con la loro capacità di apprendere, adattarsi, creano conoscenza. Per massimizzare i benefici derivanti da tali processi le organizzazioni hanno tutto l’interesse a favorire contesti e processi di sviluppo della creatività e della conoscenza dei singoli.
Il modello organizzativo proposto da Nonaka e Takeuchi è non a caso definito middle-bottom-up e affida al middle management una funzione fondamentale di cerniera tra conoscenza esplicita e strategica del top management e conoscenza tacita caratteristica degli operai di linea: è ai capi intermedi che essi assegnano il compito di gestire il processo di trasformazione della conoscenza, di tenere assieme strategia e innovazione.
Per Nonaka e Takeuchi la conoscenza può essere infatti esplicita o tacita.
La prima (razionale – mentale, sequenziale, digitale – teorica) si riferisce a tutto ciò che è manifestabile attraverso sistemi formali di comunicazione, presenti struttura e contenuti logici e linguistici, è trasmessa per mezzo di libri, manuali, corsi. La seconda (corporea, legata all’esperienza, simultanea, analogica – pratica) è invece il prodotto di intuizioni, nozioni personali, esperienza, cultura e valori morali, viene trasmessa attraverso metafore, analogie, esempi pratici, può essere tecnica (quando si riferisce alla manualità, alle abilità pratiche, alle arti) o cognitiva (quando si riferisce all’elaborazione, a modelli, schemi, paradigmi mentali, alle prospettive che ciascuno crea).
Dato questo contesto, per Nonaka e Takeuchi si crea conoscenza, si sviluppa know how e apprendimento nella misura in cui si riesce da un lato a risolvere problemi specifici sulla base del contesto di riferimento e dall’altro e conseguentemente si riesce a modificarlo. L’organizzazione che apprende deve perciò essere in grado di operare continue conversioni di conoscenza (da esplicita a implicita e viceversa) perché per questa via è possibile creare campi di interazione nell’ambito dei quali si può condividere conoscenza e modelli mentali, socializzare, creare nuova conoscenza.
Per fare un esempio, attraverso metafore e analogie si può creare, sulla base di un processo di conversione che è definito di esteriorizzazione, conoscenza esplicita che genera prodotti, servizi, innovazione, si combina con ulteriore conoscenza esplicita, produce nuova esperienza e dunque nuova conoscenza implicita (in questo caso il processo viene definto di interiorizzazione). È la spirale senza fine che è alla base dell’innovazione contenuta nei nuovi prodotti, della spinta verso la creazione di ulteriore conoscenza.
Naturalmente non si tratta di un processo automatico. Perché esso si avvii c’è bisogno di consistenti motivazioni allo scambio di conoscenza, di leadership ben definite, di obiettivi chiari.
Più specificatamente Nonaka e Takeuchi individuano cinque parole chiave attorno alle quali articolano la loro idea di sviluppo della conoscenza:
1. intenzionalità: gli obiettivi del processo devono essere definiti e condivisi da tutti i partecipanti anche se talvolta una dose di indeterminatezza favorisce lo sviluppo di nuove idee;
2. autonomia: le conoscenze emergono soltanto se chi lavora lo fa in piena autonomia, è capace di cogliere le opportunità che essa offre e la sa gestire;
3. ridondanza: più le informazioni disponibili sono sovrabbondanti più ampie sono le possibilità di gestire positivamente le spinte all’innovazione generate dal processo;
4. caos: la definizione di schemi mentali e processi organizzativi alternativi e più rispondenti ai bisogni richiede “caos creativo” (che nasce spesso da situazioni di crisi);
5. varietà: l’apporto di conoscenze diverse (marketing, tecniche, amministrative, ecc.) è decisivo per individuare risposte efficaci ai dilemmi organizzativi.
In definitiva, il processo di trasformazione e di apprendimento muove dalla persone, coinvolge il gruppo e l’organizzazione, diventa conoscenza (capacità dei dipendenti, sistemi tecnologici, sistemi manageriali, valori, norme) e dunque occasione di vantaggio competitivo, fa sì che ciascuna organizzazione rappresenti un nodo della rete di produzione e scambio di conoscenza, servizi e beni con altre organizzazioni sulla base di un processo che è allo stesso tempo conservativo (dell’identità) e adattivo, cioé capace di di facilitare l’evoluzione delle competenze distintive e ridefinire costantemente il proprio rapporto con l’ambiente.

Burocrazia

L’IMPIEGATO

AD OVEST DI PAPERINO

MATRIX

MATRIX RELOADED

Vedi anche
AMMINISTRAZIONE – BARNARD – CROZIER – ETZIONI – GOULDNER – KELSEN – MERTON – SIMON – WEBER

Concetti e parole chiave
Conseguenze inattese – Gerarchia d’ufficio – Modelli di leadership – Modelli di razionalità – Tipi ideali

Spiegazione
E’ con gli straordinari cambiamenti istituzionali, politici ed economici conseguenti alla rivoluzione francese prima, all’affermazione degli Stati nazionali in Europa, alla nascita e allo sviluppo delle grandi imprese a valle della rivoluzione industriale poi, che si determina storicamente la necessità di una moderna BUROCRAZIA, cioè di un insieme di persone e risorse orientate alla realizzazione di uno scopo collettivo, organizzate sulla base di regole, procedimenti e ruoli, impersonali, imparziali, indipendenti.
È l’affermazione del potere degli uffici, la risposta al bisogno della società (delle sue istituzioni politiche ed econonomiche) di dotarsi di strutture in grado di garantire la gestione della nuova fase.
A cogliere più di ogni altro i signa prognostica, a delineare i caratteri di una società ridisegnata dall’affermazione di forme di legittimazione del potere razionale legale è WEBER, che a partire dall’individuazione delle tre forme di legittimazione del potere (carismatico, tradizionale, razionale legale) definisce la sua teoria razionale della BUROCRAZIA e dà il via a una fase straordinariamente ricca di riflessione teorica, di ricerca, di indagine sul campo intorno alla funzione di quest’ultima in una società moderna.
A WEBER si deve la definizione di principi e modi di funzionamenti che regolano la vita di ogni burocrazia, che egli riferisce alla fedeltà di ufficio, alla competenza disciplinata, alla gerarchia degli uffici, alla preparazione specializzata, alle modalità di gestione e di accesso ai concorsi pubblici, allo sviluppo della carriera, all’attività a tempo pieno, al segreto di ufficio, allo stipendio monetario fisso, al non possesso degli strumenti del proprio lavoro.
In questo contesto è utile in particolare sottolineare che secondo WEBER:
il principio della competenza prescrive che chi detiene un ufficio pubblico, che svolga funzioni amministrative o tecniche non importa, non può operare che nell’ambito di una specifica competenza che da un lato definisce il grado di conoscenza dell’ufficio (dell’impiegato) addetto a un determinato compito e dall’altro autorizza l’ufficio stesso (l’impiegato) a esercitare la funzione per la quale è ritenuto competente;
il principio della gerarchia afferma invece che la struttura di un qualsivoglia apparato burocratico é regolata da una rigida struttura gerarchica, dove i superiori hanno poteri di controllo su chi sta sotto;
il principio della spersonalizzazione evidenzia infine che solo una BUROCRAZIA spersonalizzata, dove vige il segreto di ufficio, offre le necessarie garanzie di imparzialità.
Come già accennato, intorno alle idee di WEBER si sviluppa, nel corso del Novecento e fino a oggi, uno straordinario confronto condotto non solo sul terreno delle idee ma anche attraverso importanti ricerche sulla funzione, l’articolazione, i processi di cambiamento che hanno investito gli apparati burocratici tanto in Europa quanto negli Stati Uniti.
Gli studi sulle conseguenze inattese generate dal complesso sistema burocratico razionale weberiano portano ad esempio a evidenziare come la BUROCRAZIA mostri la tendenza a proteggere sé stessa e il proprio potere; a favorire processi di spersonalizzazione che portano a scaricare verso l’alto ogni responsabilità; a reprimere tutte le azioni che, anziché allo scopo, sono indirizzate ai valori e conseguentemente a favorire processi di secolarizzazione della vita.
In particolare MERTON focalizza la propria attenzione sulle funzioni delle diverse istituzioni sociali, che a suo giudizio possono essere manifeste (quando sono dichiarate e si riferiscono di norma al raggiungimento dello scopo) o latenti (in quanto si riferiscono ai risultati non programmati dall’agire sociale); mette in evidenza che se è vero che la BUROCRAZIA standardizza, riduce lo spreco di tempo e di risorse, è altrettanto vero che non favorisce l’innovazione dato che criticità e problemi tendono ad essere affrontati sempre nello stesso modo; dimostra come anche nelle strutture burocratiche siano diffusi fenomeni e processi di cooptazione (in base ai quali chi già fa parte di un gruppo recluta nuovi componenti sulla base di criteri di scelta di carattere discrezionale).
CROZIER parte invece dall’analisi del sistema burocratico francese (che ritiene attento più alla forma che alla sostanza non solo nel rapporto con gli utenti ma anche nei criteri di organizzazione, reclutamento e controllo dell’apparato stesso) per suggerire che dato che la BUROCRAZIA riconosce come proprio scopo fondamentale quello di assolvere i compiti le stesse competenze finiscono per essere secondarie rispetto allo scopo. A suo avviso insomma la BUROCRAZIA è tutt’altro che un sistema razionale ed efficiente; nella realtà la rigidità, l’incapacità di adattamento, la mancanza di stimoli, l’inefficienza, l’inefficacia (determinate sia da fattori endogeni che da mutamenti del contesto politico sociale ed economico come lo sviluppo tecnologico, la differenziazione e frammentazione della domanda sociale, la dispersione o l’accentramento del potere politico su livelli) ne fanno in molti casi un fattore di freno dell’innovazione sociale.
KELSEN muove a propria volta dalla considerazione che ogni norma produce un’ulteriore norma e dipende da una norma superiore (sino ad arrivare alla norma che ha originato tutte le altre) per evidenziare come la discrezionalità, piuttosto che rappresentare una contraddizione rispetto alle norme, riguarda la loro stessa natura.
A questi esempi di carattere più generali tanti altri ne possono essere aggiunti intono a questioni più specifiche anche se non per questo meno rilevanti.
Per quanto riguarda ad esempio i modelli di leadership, all’elaborazione weberiana (il potere burocratico non può essere né tradizionale né carismatico, ma soltanto razionale; il burocrate non deve essere né amato né temuto, rappresenta la legge, dà ordini conformi ad essa e adatti a raggiungere gli scopi propri dell’organizzazione sulla base dell’autorità che gli deriva dal ruolo) ETZIONI contrappone l’idea che la burocrazia può agire anche in maniera tradizionale (si può fare carriera grazie all’appartenenza a gruppi, lobbies, ecc), che il carisma non nasce solo fuori all’esterno o contro l’istituzione ma anche al suo interno, può coesistere con la gerarchia (chiesa, esercito, impresa, ecc.), può creare conflitto, mentre Biggart sottolinea come esistano forme di capitalismo carismatico.
Per quanto riguarda i modelli di burocrazia dall’ideale weberiano (il tipo ideale di burocrazia non distingue né prevede differenze nella vasta gamma di lavori, professioni, controlli esistenti), si distinguono tra gli altri GOULDNER (parlare di competenza disciplinata come fa WEBER è per molti aspetti un ossimoro dato che la competenza contrasta con la disciplina; occorre passare dal modello unico weberiano a un modello a due variabili fondato sul principio di competenza e sul principio di disciplina), MINTZBERG (bisogna distinguere tra burocrazia professionale, nella quale il controllo avviene sulle modalità della prestazione, e burocrazia meccanica, nella quale il controllo avviene invece sulla formazione iniziale e sui risultati raggiunti), Jacques (esiste una correlazione diretta tra professionalità e contenuti della prestazione lavorativa e lasso di tempo durante il quale chi lavora – dall’operaio di linea, attraverso il caposquadra e il direttore di stabilimento fino al general manager – può assumere decisioni di sua iniziativa; la burocrazia professionale non si riferisce solo alle professioni colte).
Intorno al tema gerarchia di ufficio alle idee weberiane (il burocrate fa parte di una precisa scala gerarchica, riceve direttive dai superiori, se è il caso ne discute con i colleghi di pari grado, trasferisce tali direttive ai sottoposti sulla base delle loro competenze) si possono contrapporre quelle di LAURENCE E LORSCH (nella stessa organizzazione possono coesistere differenti strutture; i reparti di produzione rappresentano di norme aree di tranquillità; la promozione e la vendita sono in una posizione intermedia, ricerca e sviluppo sono invece attività soggette a diffusa turbolenza), degli autori della scuola delle contingenze (non esiste un solo modo ottimale per strutturare le organizzazioni che operano in ambienti che possono essere definiti secondo l’asse tranquillità – turbolenza; a organizzazioni tranquille sono utili gerarchie lunghe, a organizzazioni tubolente gerarchie corte), di Bonazzi (il fatto che nelle organizzazioni burocratiche comandi e controlli seguono sempre una precisa gerarchia non impedisce che le forme che la gerarchia può assumere siano molteplici, a partire dalla possibilità di essere lunghe, cioè articolate su molti livelli, o, viceversa, corte), Martino e Sinatra (le organizzazioni possono tagliare orizzontalmente le divisioni gerarchiche; essere a matrice, flessibili, articolate, polimorfe).
Per quanto riguarda il tema preparazione specializzata l’idea di WEBER (per svolgere un compito in maniera efficiente occorre avere una preparazione specializzata) può essere contraddetta sulla base dell’analisi mertoniana (incapacità addestrata come conseguenza inattesa: il burocrate addestrato per un determinato compito si trova in difficoltà quando le condizioni cambiano, la preparazione tecnica e culturale dunque non è un patrimonio sufficiente per svolgere per sempre un dato lavoro).
Per ciò che si riferisce ai concorsi pubblici il principio weberiano (il burocrate accede all’organizzazione soltanto vincendo un concorso pubblico) è contraddetto dall’analisi di Doeringer e PIORE (sviluppo di forme di mercato interno del lavoro; concorsi e percorsi di carriera che in vario modo privilegiano chi già è dentro l’organizzazione), di Harrison e Bluestone (la flessibilità può essere funzionale, finanziaria, numerica), di Paci (sviluppo di un doppio mercato del lavoro; esistenza di fasce di lavoratori forti e deboli).
Alle idee di Weber sul segreto d’ufficio (totale separazione tra vita pubblica e privata; il burocrate è tenuto all’osservanza del segreto sulle proprie attività) possono essere contrapposti gli argomenti di Prahalad e Hamel (evoluzione del concetto di segreto d’ufficio in seguito allo sviluppo dei media, dell’informatica, di internet; ridefinizione del segreto industriale per la nascita di reti di fornitori ed esperti che prestano i loro servizi anche alla concorrenza), di Poyago e Theotoky (sviluppo di accordi commerciali e produttivi tra aziende concorrenti), di Di Nicola; Ettighoffer; Nohria e Berkley (diffusione del telelavoro e dell’impresa virtuale).
Per ciò che riguarda lo stipendio monetario fisso (il burocrate non può avere altre entrate che il suo stipendio monetario; niente mance, nessuna commistione con il cittadino utente) possono essere segnalate le idee di Whyte sull’istituto della mancia nei servizi pubblici, la constatazione che anche su questo terreno sono intervenuti fattori nuovi come la nascita di burocrazia ibride, la partecipazione agli utili di impresa, la possibilità di diventare piccoli imprenditori dopo un periodo alle dipendenze di aziende più grandi.
In riferimento infine al non possesso degli strumenti di lavoro (per Weber il burocrate usa, essendo garante della loro efficienza, ma non possiede gli strumenti di lavoro), vanno segnalate le idee di Blau circa la tolleranza sempre più diffusa di uso personale di cancelleria, telefono fax, automobile, ecc. e l’estrema difficoltà di tener fede a questo principio al tempo di telefonini, computer portatili e benefits vari.

Cognitivismo

Vedi anche
APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO – CYERT – MARCH – SIMON – WEICK

Concetti e parole chiave
Decisione – Mappa cognitiva – Razionalità limitata – Senso e significato

Spiegazione
Si deve a SIMON (1957), CYERT e MARCH (1963), WEICK (1969) l’importanza del cognitivismo negli studi organizzativi.
Più specificatamente si può dire che il cognitivismo fa il proprio ingresso negli studi organizzativi con l’introduzione alla seconda edizione di Administrative Behavior (1957), nella quale SIMON risponde alle argomentazioni e alle critiche seguite alla pubblicazione della prima edizione (nella quale la teoria della scelta razionale era presentata in un’accezione decisamente più ristretta di quella che poi si è affermata) e indica nel concetto di razionalità limitata la chiave per leggere, comprendere, interpretare lo spazio altrimenti inaccessibile esistente tra aspetti razionali e non razionali del comportamento sociale delle organizzazioni.
SIMON sostiene che le organizzazioni vanno definite a partire dal complesso e variegato sistema di comunicazioni e di relazioni che nasce e si stabilisce tra le persone e che fornisce loro informazioni, premesse di decisione, attitudini, obiettivi che a loro volta influenzano le decisioni e le aspettative individuali. Sono proprio le premesse decisionali, l’attività di costruzione mentale di un modello semplificato della realtà, a rappresentare per SIMON l’unità di analisi necessaria a comprendere l’effettivo funzionamento delle organizzazioni.
All’interno di tale contesto la cognizione rappresenta il concetto da impiegare per studiare le relazioni tra razionale e non razionale e può essere definita come un’attività che:
1. é allo stesso tempo da un lato mentale e soggettiva, dall’altro connessa al contesto e alle azioni di altri soggetti;
2. definisce l’organizzazione sulla base di un processo di costruzione di significati e di negoziazione mai finita di obiettivi, aspettative, memorie;
3. attraverso la gestione dell’informazione ne limita l’ambiguità;
4. agisce in maniera retrospettiva rispetto all’azione organizzativa;
5. definisce e stabilizza comportamenti, schemi e routine;
6. permette all’organizzazione di apprendere;
7. è rappresentabile in quanto mappa cognitiva condivisa;
8. si collega direttamente alle teorie relative che, nell’ambito dei cosiddetti approcci morbidi alle organizzazioni, individuano percorsi di accesso alla realtà all’interno dei quali la costruzione intersoggettiva e il conferimento di senso hanno un’importanza decisiva.

Decisione

Vedi anche
CYERT – MARCH – SIMON
Concetti e parole chiave
Comportamentismo – Garbage can – Incrementalismo – Modello Partecipativo – Modello Politico burocratico – Razionalità limitata – Scelta razionale
Spiegazione
Una decisione può essere assunta in molti modi.
Può essere data dal progetto consapevole di un attore razionale, e in questo caso sarà stata presa sulla base del modello decisionale sinottico; può essere il risultato contingente di un processo condizionato dai limiti soggettivi e oggettivi della razionalità umana e ci si riferirà in questo caso al modello della razionalità limitata; può rappresentare l’esito di mediazioni e accomodamenti tra attori partigiani e dunque riferirsi al modello decisionale incrementale; può essere il prodotto casuale dell’incontro tra problemi, soluzioni, partecipanti e occasioni di scelta e in questo caso ci si riferirà al modello decisionale del garbage can. E poi ancora può essere presa sulla base di scelte classificabili nell’ambito del modello comportamentista, di quello politico – burocratico, di quello partecipativo.
Le differenze che caratterizzano i sette modelli possono riferirsi a seconda dei casi ai soggetti abilitati a decidere, ai criteri principali di scelta, al tipo di razionalità, alle condizioni nelle quali si decide, al significato attribuito alla decisione, al tipo di organizzazione, all’analogia organizzativa proposto, al livello di attuazione della decisione.
Dato questo sfondo, è utile trattare in maniera più specifica ciascun modello.
Scelta razionale
Gli assiomi fondamentali sui quali si regge il modello della decisione razionale sinottica, il cui campo di applicazione per eccellenza è dato dalla teoria della O.S.L., sono nella sostanza due:
il primo afferma che fini già prefissati possono essere raggiunti utilizzando in maniera ottimale i mezzi a disposizione (dato che decidere vuol dire risolvere un problema è fondamentale mettere chi decide in uno stato di informazione perfetta);
il secondo prescrive la necessità che a comandare sia uno solo (ci sia un decisore unitario) dato che l’unità di comando assicura piena coincidenza dell’interesse individuale e collettivo, unifica gli scopi e i criteri valutativi.
Nell’ambito di questo modello la razionalità è intesa come razionalità orientata allo scopo (razionalità sostanziale), le decisioni vengono assunte secondo tecniche di elaborazione organizzate per fasi cronologicamente distinte:
la prima prevede l’identificazione e la gerarchizzazione degli obiettivi e dei valori;
la seconda la padronanza di tutti i mezzi atti a raggiungerli;
la terza la valutazione delle conseguenze connesse a ciascuna alternativa;
l’ultima la scelta dell’opzione che massimizza il risultato raggiungibile.
Razionalità limitata
Il modello decisionale della razionalità limitata si deve a SIMON che sviluppa, intorno alla variabile “decisione”, la tesi, già introdotta da BARNARD, che assegna ai comportamenti delle persone e non ai fini e alle funzioni proprie delle strutture la chiave di lettura fondamentale per comprendere il funzionamento delle organizzazioni.
Gli aspetti fondamentali del modello simoniano possono essere così sintetizzati:
1. sono gli uomini che, attraverso le loro decisioni, determinano il funzionamento delle organizzazioni;
2. per definizione tali decisioni non sono possono essere assunte in condizione di certezza dato che i soggetti agiscono sulla base di criteri di razionalità limitata che non permettono di avere una visione completa tanto delle alternative disponibili quanto delle conseguenze non prevedibili delle loro azioni;
3. le persone adattono costantemente le informazioni e le conoscenze che utilizzano per raggiungere uno scopo, il proprio sistema cognitivo, alle condizioni mutevoli che caratterizzano l’ambiente naturale esterno e ciò fa sì che le decisioni e le scelte che esse assumono non producano, di norma, disastri, nonostante siano assunte sulla base di visioni estremamente semplificate della realtà;
4. è attraverso procedure che consentono di assorbire la sua incertezza e di fare scelte il più possibile programmate, che il soggetto inserito in un contesto organizzato (cioè un sistema di programmazione e di coordinamento delle azioni degli individui finalizzato a rappresentare un modello semplificato della realtà che aiuti a comprenderla e ad affrontare al meglio l’incertezza) è in grado di assumere decisioni, tanto di routine quanto critiche, sulla base di un criterio tendente non alla massimizzazione dei fini ma a un soddisfacimento medio degli obiettivi e la cui prima funzione è identificata nel proprio perpetuarsi;
5. per questa via, l’organizzazione riesce a mantenere una propria unitarietà di decisione, a trovare comunque un accordo su percezioni, valutazioni e scopi, a soddisfare i suoi bisogni, ad adattarsi al proprio ambiente, a sopravvivere.
Comportamentismo
CYERT e MARCH sviluppano ulteriormente il quadro concettuale proposto da SIMON nell’ambito delle grandi imprese multiprodotto che operano in condizioni di incertezza e in mercati imperfetti.
Contestata la tesi propria dell’economia classica secondo la quale gli obiettivi dell’impresa sono dati dagli obiettivi dell’imprenditore (o in ogni caso da obiettivi formatisi in maniera consensuale), essi propongono la loro concezione dell’impresa come coalizione (e subcoalizioni) di individui e definiscono la decisione in quanto esecuzione di una scelta operata, in termini di obiettivi, su una serie di alternative in base alle informazioni disponibili.
Nello schema concettuale di CYERT e MARCH un’organizzazione economica è un sistema razionale flessibile che apprende dalla sua esperienza, può assumere numerosi stati, è soggetta a spinte e urti esterni di disturbo che non possono essere controllati, è condizionata dall’azione di variabili interne che si modificano sulla base di determinate regole di decisione.
Tutto questo fa sì che lo stato del sistema cambi proprio sulla base del combinato disposto dei disturbi esterni e di variabili di decisioni interne (dato uno stato esistente, il nuovo stato si determina a partire da un disturbo esterno e da una decisione) e che le regole di decisione che conducono a uno stato preferito in un determinato momento abbiano maggiori probabilità di essere adottate in futuro.
Incrementalismo
Il modello incrementale si deve a C.E. Lindblom, che imputa al modello sinottico non solo il difetto di trascurare le facoltà cognitive degli attori ma anche quello di adattarsi molto poco al carattere pluralistico dei sistemi democratici.
L’esistenza di regole formali (separazione dei poteri, più livelli di governo, authority, ecc.) e di situazioni di fatto (interessi organizzati, parti sociali, ecc.) fanno sì che nei confini della politica gli attori siano soggetti non solo alla razionalità limitata ma anche e soprattutto a processi di frammentazione, dato che il campo delle decisioni risulta popolato da più protagonisti, tutti di parte, autonomi nelle scelte e nel giudizio, liberi da ogni tipo di coordinamento sovraordinato, ma legati reciprocamente rispetto alla scelta. L’idea è in questo caso che:
si decide assieme;
l’esito della decisione è direttamente connesso alle dinamiche che coinvolgono i diversi attori;
questi ultimi tendono ad adattare i fini ai mezzi disponibili dato che non sono in grado di scegliere i mezzi sulla base di obiettivi dati.
Dato questo sfondo, a giudizio di Lindblom una decisione va misurata sulla base della sua capacità di determinare differenze rispetto allo status quo esistente. A differenze più piccole corrisponde una maggiore facilità di giudizio dei decisori, che procedono per comparazioni successive più che tentare di raggiungere una meta prefissata, mentre la valutazione della decisione dipenderà dall’accordo raggiunto tra i policy makers (coloro che hanno qualche influenza o interesse sulla posta in gioco).
Come appare evidente, nell’ambito del modello incrementale un criterio di giudizio di natura interattiva o politica sostituisce un criterio di tipo tecnico; l’arte dell’arrangiarsi (muddling through) sostituisce il calcolo razionale.
Secondo il suo ideatore, è questo approccio decisionale a garantire i diritti di libertà, a impedire la concentrazione del potere, a consentire in molte circostanze di decidere potendo contare su un miglior livello di informazione e una maggiore razionalità.
Politico – burocratico
L’immagine tipo che contraddistingue i diversi modelli politico burocratici è rappresentata dal gioco politico competitivo – cooperativo che ha come protagonisti molteplici decisori che occupano diverse posizioni gerarchiche.
Affinché ci si possa riferire a tale modello occorre che:
i decisori operino in un contesto di potere condiviso;
l’ambiente sia caratterizzato da incertezza circa ciò che bisogna fare, da necessità di fare qualcosa, da conseguenze cruciali per ogni cosa che viene fatta;
anche il non far niente sia una mossa del gioco;
la comunicazione sia una variabile decisiva;
ciascun partecipante possa e debba fare delle cose a seconda della sua posizione;
il gioco sia fatto di più sottogiochi contemporanei;
ciascuna mossa sia il risultato di compromessi, coalizioni, competizione confusione circa la vera faccia del problema;
ogni giocatore porti con sé il proprio stile di gioco e la sua esperienza.
Nella sostanza, nell’ambito dei modelli politico – burocratici il potere è la vera variabile indipendente; il risultato di una decisione dipende spesso dal potere e dall’abilità di chi la sostiene o si oppone ad essa; attraverso la negoziazione ciascun gioco viene avviato verso la risoluzione (decisione); si decide non in base alla competenza ma all’accesso politico.
Garbage can
Il modello decisionale del garbage can (cestino dei rifiuti) si deve a MARCH e Olsen, i quali conducono una lunga attività di analisi degli aspetti non razionali delle decisioni nelle organizzazioni alla scopo di dimostrare che ciò che appare caotico e casuale possiede una struttura logica nascosta e risponde ad una precisa esigenza funzionale.
Diversamente dai modelli della razionalità limitata ed incrementale, caratterizzati da incertezza, il modello garbage can è contraddistinto da ambiguità e confusione che, in quanto tali, non possono essere ridotte attraverso l’aumento delle informazioni e delle conoscenze disponibili.
Ciò determina secondo gli autori alcune conseguenze importanti:
gli attori non possono guidare razionalmente il processo decisionale, dato che gli scopi e le preferenze non possono essere definiti prima e indipendentemente dal processo stesso, ma prendono forma soltanto durante il corso d’azione nel quale essi si inoltrano (il processo fornisce la base sulla quale gli attori recitano la propria parte);
le attività e i compiti sono necessariamente ambigui e indeterminati;
le procedure e i modi di procedere sono fra loro mutuabili ed equivoci;
i partecipanti e gli attori impegnati nel processo entrano ed escono dalla scena in relazione al livello d’interesse che li lega ai problemi, cosicché anche la partecipazione risulta essere fluida e incostante.
Il fatto che non si tratti di un processo lineare fa sì che nella realtà anche queste variabili più che essere collegate da un ordine di sequenza (si parte da una criticità per arrivare, attraverso la definizione di una specifica procedura da parte degli attori coinvolti nel processo decisionale, a scoprire una soluzione pertinente), si incontrino con una modalità che assomiglia molto a quella del cestino nel quale si trovano ad essere mescolate specie diverse di rifiuti prive di legami tra di loro.
L’idea è insomma che anche nell’ambito del sistema sociale vengano depositate un numero ragguardevole di variabili (soluzioni potenziali, problemi latenti, attori rituali, opportunità, ecc.), che seguono il proprio corso in maniera indipendentemente fino a quando non intervengono fattori contingenti e temporali che favoriscono il loro incontro in un ordine di sequenza non necessariamente lineare e che rappresentano i criteri che regolano le scelte.
In particolare MARCH e Olsen individuano tre principali processi di sequenza decisionale:
nel primo la scelta finale adottata risponde a un problema, non importa se stabilito in partenza o sostituito nel corso del procedimento. Si tratta di un processo statisticamente poco frequente dato che sono poche le decisioni pubbliche che possono essere ricollegate a problemi chiaramente identificabili;
nel secondo la scelta non risponde affatto, o non risponde più, a un problema, che può essere stato perso di vista nel corso del procedimento oppure non essere stato mai evocato. In questo processo, molto più frequente del primo, la scelta si è compiuta proprio grazie al fatto di aver scartato qualunque problema;
nel terzo il problema è scartato, non vi è stata scelta finale, il processo si è arrestato per abbandono.
Partecipativo
Il modello partecipativo (partecipative decision-making) è marcatamente europeo, strettamente connesso al modello della democrazia industriale, muove dall’idea che la partecipazione sia una questione decisiva per le organizzazioni.
La domanda fondamentale alla quale tale modello cerca di rispondere non è “come scegliere” ma “con chi scegliere” e questo lo rendo per molti versi anomalo rispetto a tutti gli altri modelli fin qui analizzati.
Tra i diversi studi che sono stati realizzati a partire dalla fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 80 quello di Heller può essere classificato nell’ambito della Teoria della contingenza e si prefigge di mettere in evidenza le connessioni esistenti tra i diversi stili decisionali e tre gruppi di variabili come l’efficienza, l’utilizzo delle abilità e la soddisfazione sul lavoro.

Economia dei Costi di Transazione

Vedi anche
PFEFFER e SALANCIK – OUCHI – WILLIAMSON

Concetti e parole chiave
Gerarchia e mercato – Logica del Clan

Spiegazione
È il 1937 quando Ronald Coase scrive The Nature of the Firm, l’articolo che nel 1991 gli farà tributare il premio Nobel (per la verità tre anni prima John Commons aveva a propria volta evidenziato come le strategie delle imprese fossero condizionate dalle istituzioni giuridiche), ma solo nel corso degli anni 70 l’ECONOMIA DEI COSTI DI TRANSAZIONE (E.C.T.) nasce e si sviluppa come teoria in grado di interpretare i profondi mutamenti conseguenti alla crisi dell’impresa in quanto funzione della produzione che utilizza al meglio la tecnologia disponibile ed é gestita con l’ausilio di una BUROCRAZIA, alla diffusione dei processi di deverticalizzazione e di decentramento, alla messa in discussione della tecnologia come criterio fondamentale per definire i confini dell’impresa.
È a partire da quegli anni che le grandi imprese, fino ad allora caratterizzate da strutture verticali fortemente integrate, iniziano a trasferire a imprese più piccole quote crescenti di produzione. La trasformazione diventa presto radicale e sarà WILLIAMSON, il maggiore interprete della E.C.T., a definire in maniera inequivocabile i caratteri che connotano la nuova fase, nella quale oggetto di analisi non è più il bene prodotto ma la transazione e conseguentemente l’impresa si trasforma da funzione della produzione a struttura di governo delle variegate forme di contratto (transazioni) che essa può stipulare.
Al tempo dell’E.C.T. l’impresa si trova costantemente di fronte a un bivio: da una parte c’è la strada che la porta a continuare a produrre (Make) al proprio interno; dall’altra quella che la induce a rivolgersi a fornitori esterni dai quali acquistare (Buy) prodotti, servizi, tecnologie, più o meno specifiche.
Molte sono le novità che caratterizzano il nuovo scenario:
1. il mercato non é più un meccanismo autosufficiente;
2. il contesto storico – istituzionale ha un ruolo fondamentale;
3. la dimensione micro (l’atmosfera aziendale, il sapere, l’innovazione, ecc.) e quella macro (il mercato del lavoro, il contesto istituzionali, ecc.) dell’impresa sono parimenti importanti;
4. l’organizzazione non coincide più con la BUROCRAZIA;
5. la tecnologia non é una variabile indipendente;
6. tra economia e sociologia dell’organizzazione si stabiliscono nuovi e profondi rapporti;
7. i comportamenti umani sono determinati non solo dalla razionalità limitata così come é stata definita da SIMON (sebbene gli uomini vogliano comportarsi in modo razionale, nei fatti tale volontà é limitata dai limiti di conoscenza, lungimiranza, abilità tecniche e di tempo a disposizione per agire), ma anche dall’opportunismo, che fa in modo che essi possano perseguire i propri interessi persino con mezzi illeciti come l’inganno e la frode.
Detto che tanto le organizzazioni gerarchiche quanto quelle di mercato sono destinate al fallimento quando non riescono a sostenere i costi (incentivi) necessari a soddisfare le differenziate esigenze (contributi) dei lavoratori, quando non riescono a connettere gli scopi particolari con i fini generali, si può aggiungere che nel nuovo sistema orientato al controllo tanto delle persone e dei soggetti che in essa operano quanto delle transazioni che questi stessi intrattengono con l’esterno (J. Child 1973; R. Cafferata 1984) l’obiettivo centrale per il buon governo dell’impresa diventa quello di ridurre il più possibile i costi di transazione necessari per stipulare e gestire ciascun contratto e di conseguenza assumono una funzione importante le salvaguardie necessarie a evitare che i contratti non siano rispettati o che i loro costi lievitino in conseguenza di valutazioni errate.
Mercato e gerarchia rappresentano in ogni caso i due poli di una retta lungo la quale sono presenti tutte le possibili scelte, per definizione mai definitive e stabili, di un’impresa.
Di norma, quando la tecnologia é generica, le transazioni sono poco frequenti, i costi di salvaguardie sono bassi conviene rivolgersi al mercato e avere un’azienda minima; quando invece la tecnologia é specifica, le transazioni frequenti, i costi di salvaguardia elevati è più conveniente produrre in casa e creare una gerarchia.
Ancora su questo tema è utile ricordare che le organizzazioni gerarchiche riescono molto meglio a determinare condizioni stabili e di relativa certezza nella definizione di un rapporto equilibrato tra incentivi e contributi (hanno più possibilità di influenzare i comportamenti personali e di regolare le prestazioni di lavoro) ma riescono molto peggio a rispondere alle turbolenze ambientali, ad adattarsi in maniera veloce e flessibile ai cambiamenti repentini del contesto (M. Aoki 1991).
Nei fatti è dunque necessario di volta in volta valutare l’influenza delle crisi di mercato (il continuo ricorso a uno stesso fornitore altamente specializzato può incentivare il suo opportunismo mentre la considerazione degli elevati costi che bisogna affrontare per trovare un altro fornitore può consigliare di riportare quelle attività all’interno dell’azienda, anche attraverso il controllo o l’acquisto dell’azienda precedentemente fornitrice) e delle crisi della gerarchia (l’eccessiva verticalizzazione, contrasti sindacali, scarsa innovatività della struttura possono consigliare di rivolgersi al mercato esterno) ed essere capaci di valutare attentamente le possibile soluzioni intermedie tra mercato e gerarchia, come ad esempio joint ventures, franchising, associazione e consorzi temporanei di impresa, ecc.
Castells (19..) parte proprio da quest’ultimo assunto per portare alcune critiche ai principi dell’E.C.T. e per spiegare le ragioni per le quali, a suo avviso, essa non é in grado di spiegare la network enterprise e, più in generale, la Società digitale. Nella Net Economy, questa la sostanza delle sue argomentazioni, la crescente complessità e specializzazione delle tecnologie, assieme alla globalizzazione dei mercati dovrebbe portare ad una crescente verticalizzazione delle imprese. Accade invece il contrario dato che l’aumento dei costi di transazione porta all’estensione della rete di produttori esterni, in modo che i costi vengano ripartiti tra la rete stessa.

Fordismo

Vedi anche
CATENA DI MONTAGGIO – FORD – O. S.L.

Concetti e parole chiave
Consumo di massa – Controllo gerarchico – Meccanizzazione – Parcellizzazione

Spiegazione
Il termine FORDISMO definisce comunemente non solo una specifica modalità di organizzazione del lavoro ma anche un vero e proprio stadio del capitalismo contemporaneo, durato quasi un secolo e caratterizzato da sistemi di produzione basati sui principi della ORGANIZZAZIONE SCIENTIFICA DEL LAVORO, dall’adozione di processi di meccanizzazione spinta del ciclo produttivo (iniziata con l’introduzione della CATENA DI MONTAGGIO), dalla diffusione di modelli di consumo di massa.
L’approccio fordista all’organizzazione della produzione trova la sua prima applicazione nel 1913 all’interno della società automobilistica creata a Detroit da FORD.
I posti di lavoro individuali con mansioni di montaggio dell’intero prodotto vengono sostituiti da una gigantesca linea di montaggio e di assemblaggio lungo la quale ogni lavoratore, ricevendo il semilavorato dal compagno precedente, vi monta un componente, a mezzo rotaie lo passa al compagno successivo, e così via fino al montaggio completo. FORD ottiene così una riduzione media di circa il 40% del tempo di montaggio di ogni pezzo (con punte del 75% raggiunte con l’introduzione dell’energia meccanica e il miglioramento delle altezze delle linee stesse).
Insieme alla predeterminazione dei tempi di lavoro e alla parcellizzazione dei suoi contenuti il terzo aspetto fondamentale del modello fordista è rappresentato dalla struttura gerarchico burocratica che governa l’azienda, mentre un ulteriore elemento di novità è dato dal fatto che con il FORDISMO i lavoratori non sono più soltanto un importante fattore della produzione ma anche i consumatori dei prodotti finali che aziende sempre più avanzate dal punto di vista tecnologico immettono sul mercato.
E’ la combinazione tra la produzione di serie, resa possibile dal progresso tecnico, e il consumo di massa a determinare il successo del FORDISMO, una svolta senza precedenti nella società americana, l’avvento di quegli anni ruggenti che in anticipo di qualche decennio rispetto a quanto avverà in Europa, farà sì che in molte famiglie operaie degli Stati Uniti beni come l’automobile, la radio, gli elettrodomestici diventino di uso comune e che il livello di istruzione di base diventi decisamente più alto di quello di ogni altra parte del mondo cosiddetto avanzato.
Questo straordinario esperimento sul campo darà lo spunto a John Maynard Keynes per formulare negli anni Trenta le sue teorie sulla crescita della domanda come stimolo alla produzione e il mantenimento di buoni livelli di consumo come antidoto alle crisi economiche.
Se il richiamo alla rivoluzione industriale sottolinea un fenomeno storico e un sistema che ha segnato una profonda frattura rispetto alla sostanziale continuità storica delle società agricole, tale da essere paragonato per rilevanza solo alla rivoluzione del neolitico, il FORDISMO mostra gli sviluppi dell’industrializzazione nella sua piena maturazione. Non a caso, nonostante il suo carattere estremamente rigido tanto dal versante produttivo che da quello organizzativo e delle condizioni di lavoro, il modello fordista è stato assolutamente dominante fino agli anni 70, quando la crisi della azienda, i repentini cambiamenti dei contesti ambientali, i mutamenti indotti dall’utilizzo di informatica e robotica determinano la necessità di privilegiare forme organizzative molto più flessibili, all’interno delle quali l’autonomia, l’intercambiabilità, la capacità di decidere di chi lavora diventa un fattore sempre più rilevante per il buon andamento dell’impresa.

Knowledge Management

Vedi anche
APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO – B.P.R. – GESTIONE DELLA CONOSCENZA AZIENDALE – KNOWLEDGE MANAGEMENT SYSTEMS

Concetti e parole chiave
Condivisione della conoscenza – Dato, informazione, conoscenza, saggezza – Filosofia della collaborazione

Spiegazione
Non esiste un’unica e conclusiva definizione di K.M.
In senso lato, il concetto é rintracciabile fin dall’antichità e si riferisce alla preservazione e alla condivisione della conoscenza mentre al tempo della rivoluzione digitale crea spesso aspettative troppo mirabolanti per essere sempre vere: essere connessi con partner, clienti, dipendenti per condividerne le conoscenze; fornire le proprie conoscenze a clienti, partner, dipendenti; disporre di procedure e strumenti per sistematizzare le conoscenze; incorporare le conoscenze nei processi aziendali; rielaborare continuamente le norme aziendali in base alle conoscenze.
Più realisticamente, si può affermare che la non banale consapevolezza del fatto che avere a disposizione delle conoscenze non significa automaticamente saperle usare per i nostri fini, rende semplicemente più importante questo filone di ricerca teorica e applicativa che mira a sviluppare il ciclo della conoscenza all’interno di una comunità di pratica o d’apprendimento tramite strumenti e tecnologie dell’informazione.
In ogni caso, quando nella seconda metà degli anni 80 Karl Wiig enuncia i principi del K.M. molte grandi aziende, soprattutto multinazionali, mostrano subito un forte interesse verso questa teoria che si propone un obiettivo decisamente pragmatico: esplicitare e mettere in comune dati (grezzi), informazione (dati selezionati e organizzati per essere comunicati), conoscenza (informazione rielaborata e applicata alla pratica), saggezza (conoscenza distillata dall’intuizione e dall’esperienza) che ogni componente ha maturato nel corso del suo percorso professionale per migliorare l’efficienza dei gruppi collaborativi (la piramide è la figura geometrica utilizzata per rappresentare il concetto).
I primi investimenti si concentrano soprattutto sullo sviluppo dei mezzi per rendere veloce e semplice l’archiviazione, la descrizione e la comunicazione di dati e informazioni. E’ la cosiddetta prima fase, la first generation, che si riferisce alla mera gestione dell’informazione e tende a ridurre il K.M. alla sua componente strumentale, l’information technology, che é fondamentale ma non ne esaurisce le potenzialità dato che il ciclo della conoscenza non si limita alla trasmissione di dati e informazioni.
La seconda fase del KM (condivisione della conoscenza) si focalizza infatti sulle modalità attraverso le quali le conoscenze professionali di ogni specifico componente dell’organizzazione possono essere messe al servizio di tutta l’azienda e per questa via il KM acquista il carattere di vera e propria filosofia della collaborazione e della condivisione della conoscenza negli ambienti di lavoro.
Dato questo contesto, è utile aggiungere che le linee guida del KM sono domandarsi perché prima ancora di come, conoscere facendo ma anche insegnando ad altri, privilegiare l’azione piuttosto che concetti e piani formalmente ineccepibili, considerare l’errore una componente ineliminabile dell’azione, eliminare la paura perché impedisce di convertire la conoscenza in azione, combattere la competizione, conoscere il contesto, capire come può sostenere i propri progetti, convertire tale conoscenza in azione, comprendere come le aziende leader allocano tempo e risorse. E che i nuovi sistemi di KM si concentrano sull’e-learning, studiano metodi per esplicitare la conoscenza tacita e per la favorire la creatività.

Learning organization

Vedi anche
APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO – GESTIONE DELLA CONOSCENZA AZIENDALE – K.M.

Concetti e parole chiave
Apprendimento continuo – Modello dei gradi tre – Modello del cambiamento culturale – Modello delle dinamiche culturali

Spiegazione
Si definisce LEARNING ORGANIZATION l’organizzazione che si propone di conoscere sé stessa attraverso processi di apprendimento continuo, prima favoriti e poi utilizzati, dei suoi componenti.
L’origine del concetto si deve a Lewin e alla sua teoria del cambiamento sociale secondo la quale il cambiamento é prodotto dal succedersi di tre fasi (scongelamento, cambiamento, ricongelamento) e ogni sistema é il risultato dell’equilibrio tra forze favorevoli e forze contrarie al cambiamento.
Tra i modelli più significativi sviluppati nell’ambito della LEARNING ORGANIZATION è utile ricordare:
1. il modello dei “Grandi Tre” di Kanter, Stein e Jick, secondo i quali il cambiamento è un processo articolato e dinamico che si determina a tre livelli:
1.1. ambientale (laddove agiscono forze macro evolutive che impattano sull’identità organizzativa);
1.2. della singola organizzazione (a questo livello agiscono invece forze micro evolutive che impattano su attività e processi);
1.3. dell’individuo (qui agiscono infine le forze che influiscono sulla distribuzione dei poteri e del controllo);
2. il modello del cambiamento culturale di Pasquale Gagliardi, secondo il quale:
2.1. il cambiamento può avere più forme (apparente, rivoluzionario, incrementalismo culturale);
2.2. è la cultura a creare l’identità organizzativa mentre la strategia organizzativa ha come scopo primario proprio la protezione di tale identità;
2.3. le strategie secondarie possono essere invece strumentali, se hanno come scopo l’adattamento e l’integrazione, o espressive, se perseguono invece stabilità e coerenza dei significati;
3. il modello delle dinamiche culturali che ritiene che:
3.1. valori, assunti, artefatti e simboli sono interdipendenti e collegati da relazioni di reciprocità;
3.2. la cultura è un processo che si articola in più fasi:
3.2.1. quella della manifestazione, che si riferisce ad assunti e valori;
3.2.2. quella della realizzazione, relativa agli artefatti;
3.2.3. quella della simbolizzazione, che attiene ai simboli;
3.2.4. quella dell’interpretazione, nella quale avviene il cambiamento.

Motivazionalismo

Vedi anche
ARGYRIS – BARNARD – HERZBERG – MASLOW – SISTEMA COOPERATIVO

Concetti e parole chiave
Bisogni umani – Contributi e incentivi – Fattori igienici – Soddisfazione nel lavoro –

Spiegazione
Secondo l’uso corrente del termine una persona è motivata quando ha, sente di avere, dentro di sé, una spinta che lo induce a impegnarsi al meglio delle proprie capacità e delle proprie forze nello studio, nel lavoro, nello sport e così via discorrendo. Più tecnicamente, la motivazione può essere definita come una forza interiore che stimola, regola e sostiene determinate azioni e comportamenti e il sistema motivazionale come l’insieme dei bisogni percepiti con varia intensità e delle relazioni esistenti tra tali bisogni e il comportamento dell’individuo.
All’origine delle motivazioni c’è dunque una tensione interiore, un bisogno, che la persona cerca di soddisfare; la soddisfazione del bisogno produce a propria volta la rivalutazione della situazione e favorisce l’insorgenza di bisogni ulteriori secondo una logica circolare che è connaturata e dunque può essere sollecitata, alimentata, ma non indotta dall’esterno.
Per definire quali siano gli elementi che governano la motivazione nell’ambito lavorativo sono state formulate numerose teorie fin da quando, con gli studi di MAYO e del suo gruppo, è apparsa evidente la necessità che il lavoro operaio non fosse considerato soltanto una rotella dell’ingranaggio tayloristico ma una componente coinvolta, compartecipe, motivata, del processo di produzione.

Per ARGIRYS solo lavoratori motivati, che si sentono sostenuti nei loro bisogni di crescita professionale ed umana possono apportare un contributo effettivo alle esigenze di produttività e di efficienza delle organizzazioni.

Per BARNARD le motivazioni che spingono le persone a contribuire al funzionamento delle organizzazioni rappresentano la chiave per comprendere come funziona un’organizzazione e per determinare i processi collaborativi che sono alla base del suo SISTEMA COOPERATIVO.

Per HERZBERG sono i fattori motivazionali (riconoscimento, responsabilità, crescita professionale, ecc.) che, diversamente da quelli igienici, motivano chi lavora, appagano bisogni superiori, rendono più produttivo chi lavora.

Per MASLOW i bisogni umani hanno la priorità rispetto a quelli delle organizzazioni e queste ultime vanno valutate proprio rispetto alla loro capacità di rispondere ai bisogni di autorealizzazione sul lavoro.

Per Salvemini la scala dei bisogni nel contesto lavorativo si articola in bisogni di consumo, di sicurezza, di socialità, di stima, di potere, di realizzazione.

McGragor applica la teoria di MASLOW al management e teorizza che il dirigente si comporta secondo due modalità diverse (Teoria X e Teoria Y) a seconda della sua concezione dell’uomo. Per la teoria X il dirigente affida all’autorità la propria leadership e ritiene che le persone siano indolenti, svogliate, orientate a lavorare il meno possibile. Per la teoria Y affida invece la propria leadership alle relazioni, alla supervisione, agli incentivi positivi perché è convinto che le persone sono responsabili, attive, e ritengono importante sentirsi soddisfatti sul lavoro. Nella sostanza il lavoratore si comporta secondo i dettami della teoria X o Y a seconda della sua possibilità di soddisfare i propri bisogni: quando non riesce a soddisfare quelli di ordine inferiore (i bisogni fisiologici e di sicurezza di MASLOW e i fattori igienici di HERZBERG) tende a comportarsi come descritto dalla teoria X, quando riesce a soddisfare quelli di ordine superiore (i bisogni di appartenenza, stima ed autorealizzazione di MASLOW e i fattori motivanti di HERZBERG) si comporta come descritto dalla teoria Y.

Per Vroom la motivazione é connessa alla valenza (l’importanza che la persona dà al raggiungimento di un obiettivo) e all’aspettativa (le probabilità di conseguire l’obiettivo che la persona ritiene di avere in suo possesso). La valenza può essere sia positiva, quando si vuole qualcosa, che negativa, nel caso contrario; l’aspettattiva può essere soltanto positiva o pari a zero (nei casi in cui la persona ritiene di non avere alcuna probabilità di raggiungere l’obiettivo).
Dato questo schema, la motivazione per Vroom é data dalla moltiplicazione della valenza per l’aspettativa (o dalla moltiplicazione della valenza per l’aspettativa per il valore della ricompensa conseguente al raggiungimento dell’obiettivo).
Le persone che hanno chiaro il rapporto tra ciò che fanno, l’obiettivo che devono raggiungere, il premio che li aspetta in caso di risultato positivo, avranno forti o comunque maggiori motivazioni.

Neoistituzionalismo

Vedi anche
CZARNIAWSKA – MEYER e ROWAN – POWELL e DI MAGGIO – SELZNICK – THOMPSON –ZUCKER

Concetti e parole chiave
Campo organizzativo – Isomorfismo – Miti razionali – Popolazioni organizzative

Spiegazione
La scuola neoistituzionalista rappresenta una delle più importanti correnti sociologiche contemporanee. Pur non rinnegando il proprio legame con il pensiero istituzionalista di SELZNICK (la società non può essere considerata un semplice aggregato di soggetti e organizzazioni che agiscono sulla base di criteri di razionalità, seppur limitata, per massimizzare le proprie utilità; occorre spostare la riflessione dalle scelte definite in maniera autonoma dal singolo individuo o dalla singola organizzazione al contesto istituzionale nel quale gli uni e le altre operano), essa sviluppa in maniera del tutto autonoma e originale l’analisi relativa al rapporto tra contesto istituzionale e singola organizzazione.
Infatti con il NEOISTITUZIONALISMO il tema centrale dell’analisi organizzativa non è dato più dalle pressioni esercitate dall’ambiente esterno sull’organizzazione e dai cambiamenti che tale pressione determina sugli scopi originari di quest’ultima, ma dal processo di azione – retroazione che si determina tra organizzazioni (azioni) e istituzioni (norme) e che fa sì che organizzazioni dello stesso tipo siano molto simili tra loro.
Oggetto principale di indagine non sono più le singole organizzazioni ma popolazioni organizzative, l’insieme di unità, soggetti, organizzazioni che operano in un determinato contesto istituzionale.
Le istituzioni diventano il punto vero sul quale puntare l’interesse, dato che le strategie e i criteri di giudizio delle organizzazioni sono largamente imputabili alle pressioni alla conformità esercitate dal contesto istituzionale, ai condizionamenti di ordine materiale e simbolico che le istituzioni esercitano sui comportamenti umani e su quelli delle organizzazioni.
Sono MEYER e ROWAN (1977), con un articolo nel quale propongono il concetto di isomorfismo come chiave per comprendere le ragioni per le quali organizzazioni che operano nell’ambito dello stesso contesto istituzionale sono spinte ad assumere scelte molto simili tra loro ad avviare la stagione del pensiero neoistituzionalista.
L’idea è che per essere giudicate efficienti, massimizzare legittimità, risorse, capacità di sopravvivenza, le organizzazioni devono rispettare criteri di razionalità stabiliti dal contesto istituzionale. Che i processi di isoformismo non sono determinati soltanto dalla tendenza ad uniformarsi all’ambiente esterno ma anche dell’azione dell’ambiente che spinge alla nascita di nuove organizzazioni coerenti con i miti razionali (regole istituzionalizzate, norme, cerimoniali di procedure) da esso stesso prodotti. Che a un nuovo mito che si consolida corrispondono nuove organizzazioni che nascono per rispondere ai bisogni che esso produce e alimenta. Che la strada migliore per gestire il conflitto tra i criteri di razionalità interni e le spinte dell’ambiente è quella di sviluppare due strutture parallele, una formale, coerente con i miti e i cerimoniali, l’altra informale, coerente con l’obiettivo dell’efficienza interna.
A POWELL e DI MAGGIO si deve invece il concetto di campo organizzativo, da essi definito come un’area riconosciuta di vita istituzionale caratterizzata da confini fluidi e indistinti ma con una fitta e stabile rete di comunicazione nell’ambito della quale un insieme estremamente variegato di attori sociali, economici, politici, culturali, contribuisce, in maniera più o meno consapevole, a determinare processi di cambiamento. A loro avviso, la correlazione diretta esistente tra dipendenza dalle risorse esterne, ambiguità e incertezza dell’organizzazione e velocità dei processi di isomorfismo, fa sì che i campi organizzativi siano analogamente tanto più integrati quanto minori sono i modelli alternativi possibili e più elevata è la professionalità di chi vi opera.

Organizzazione Scientifica del Lavoro

Vedi anche
ALIENAZIONE – ANOMIA – BARNARD – CATENA DI MONTAGGIO – FORD – FORDISMO – MAYO – TAYLOR

Concetti e parole chiave
Divisione del lavoro – Gerarchia – Tempi e metodi – Standardizzazione

Spiegazione
Prima ancora di essere una teoria organizzativa, l’O.S.L. rappresenta una vera e propria filosofia del lavoro, che non a caso TAYLOR definisce one best way, con un suo preciso postulato: ogni problema ha sempre e soltanto una sola soluzione ottimale che può essere per l’appunto individuata con l’ausilio del metodo scientifico (è del tutto evidente lo spirito positivista di TAYLOR, la sua illimitata fiducia nella scienza come “chiave” per risolvere piccoli e grandi problemi).
L’O.S.L. nasce come teoria all’inizio del XX secolo, allorquando lo sviluppo del sistema di produzione capitalistico entra in una nuova fase e matura la necessità di avviare un radicale processo di razionalizzazione produttiva.
Tra i punti chiave della O.S.L. vanno ricordati la determinazione scientifica dei metodi di lavoro, della selezione e dell’addestramento dei lavoratori; la definizione dei tempi standard necessari ad effettuare ciascuna singola fase del processo lavorativo (con il taylorismo nasce anche l’ufficio Misurazione dei Tempi e dei Metodi); la ridefinizione dei compiti della direzione e il suo addestramento; la rigida separazione tra attività di programmazione, di esclusiva competenza della direzione, e attività di esecuzione; la parcellizzazione – frantumazione della prestazione lavorativa; l’introduzione della retribuzione a cottimo sulla base di tabelle stabilite a partire dai tempi standard rilevati per l’effettuazione di ciascuna mansione.
Con l’avvento della O.S.L. il modo di lavorare é insomma oggetto di un mutamento radicale. Il lavoro umano e quello delle macchine viene monitorato in tutte le sue fasi e la razionalizzazione dei metodi di lavoro determina un costante riadeguamento dei tempi necessari per portare a termine ogni singola operazione.
Ogni nuova attività viene preceduta da una fase di sperimentazione che coinvolge squadre pilota formate da operai particolare provetti e ha lo scopo di scomporre le singole fasi e movimenti ed eliminare quelle superflue; ricomporre la mansione stabilendo i movimenti da fare e le tecnologie (macchine, attrezzi, utensili) da utilizzare; fissare il tempo teorico di effettuazione di quella determinata fase lavorativa e cercare di migliorarlo; verificare la effettiva possibilità di svolgere quel determinato lavoro in quel determinato tempo; definire le procedure necessarie a fare in modo che altre squadre di operai possano effettuare quel lavoro nei tempi stabiliti sulla base di una applicazione sistematica del procedimento lavorativo già impostato dalla direzione attraverso la sperimentazione. Il processo lavorativo diventa così largamente prevedibile e sempre passibile di ulteriori miglioramenti e il processo di razionalizzazione della fabbrica può ritenersi finalmente realizzato.
Con una teoria così fortemente strutturata passare dalla teoria alla pratica non è affatto agevole (non a caso la vera affermazione su larga scala delle nuove idee si avrà solo col FORDISMO) e lo stesso TAYLOR ne è in vario modo consapevole, come dimostra la sua insistenza sulla necessità che ciascuna azienda si doti di una direzione all’altezza dei nuovi compiti, in grado da un lato di valutare le specifiche capacità di ciascun operaio (gli operai non sono tutti uguali; quelli di prima categoria sono più capaci di svolgere lavori specializzati rispetto a quelli comuni o generici) e di assegnare loro mansioni corrispondenti alle effettive abilità e dall’altro di istaurare buoni rapporti con tutto il personale, gli operai in primo luogo, e di favorire un continuo processo di miglioramento della produttività aziendale (per quanto il processo di disumanizzazione e di ALIENAZIONE del lavoro che ha accompagnato l’affermazione dell’O.S.L. rappresenti un dato di fatto difficilmente confutabile, esso va in qualche modo storicizzato, riferito cioé a quelle che erano le condizioni precedenti; da questa prospettiva, l’idea che TAYLOR sia stato un riformatore piuttosto che uno scientifico sfruttatore del lavoro operaio ha più di una ragione di essere).
Anche nei confronti dei dirigenti l’O.S.L. è assai poco indulgente e ciò dice probabilmente qualcosa di significativo circa lo scarso numero di dirigenti dotati di ottime capacità dirigenziali. Anche per loro il rimedio proposto é dunque quello classico: affidare i compiti di direzione a pochi superselezionati, ottimi dirigenti, restringere l’autonomia decisionale di tutti gli altri, che avranno responsabilità in campi molto ben delimitati e che conoscono bene e saranno obbligati, nel lavoro quotidiano, a rispettare e seguire regole e procedure predeterminate.

Postfordismo

Vedi anche
FORD – JUST IN TIME – MODELLO GIAPPONESE – PIORE SABEL E ZEITLIN – TAYLOR

Concetti e parole chiave
Fabbrica snella – Integrazione orizzontale – Qualità totale – Sviluppo delle competenze

Spiegazione
Tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli 80 i paesi tecnologicamente più sviluppati sono interessati da un insieme di trasformazioni economiche, istituzionali, sociali, tanto profondo da determinare un vero e proprio passaggio di fase. Dopo lunghi decenni di dominio incontrastato, il modello sociale e produttivo fordista, quello specifico modo di produrre e di regolare la società che tanto peso aveva avuto nelle vicende economiche e istituzionali dei paesi più sviluppati, va in crisi. È una crisi che investe più cose e ambiti, anche molto diversi tra loro per rilevanza, che produce nei diversi paesi esiti anche molto diversi a seconda del ruolo che ciascuno di essi riveste nell’ambito della divisione internazionale del lavoro, degli attori istituzionali coinvolti nel processo regolativi, dei sistemi di welfare vigenti, del ruolo e del peso del sindacato.
Vanno in crisi le strutture organizzate secondo criteri gerarchici (to make) e integrate per via verticale. È pesantemente messo in discussione il modello concertativo di distribuzione della ricchezza definito tra le grandi rappresentanze imprenditoriali e sindacali con la supervisione degli stati nazionali. Vanno in crisi gli stati nazione, si modificano i rapporti di forza tra politica – nazione ed economia mondo, si affermano poteri di livello sovranazionale, si assiste a una sensibile contrazione dell’intervento dello stato nell’economia (in particolare nel settore industriale, come attesta il diffuso processo di privatizzazione avvenuto nelle economie di mercato sviluppate). Mutano le forme e la regolamentazione del lavoro, della sua organizzazione e rappresentanza, c’è un oggettivo ridimensionamento del ruolo contrattuale del sindacato, una crisi della contrattazione collettiva associata a una contemporanea crescita di forme di individualismo contrattuale (in particolare dal versante retributivo). Il posto di lavoro fisso per tutto l’arco della vita diventa sempre più un retaggio del passato, mentre i processi di flessibilità si accentuano sempre di più fino ad assumere sempre più i caratteri della precarietà e dell’insicurezza.
Il cambiamento insomma non si ferma alla fabbrica ma investe il territorio, la società, i rapporti economici, istituzionali, politici, che a livello sociale e territoriale si determinano. Detto che il tramonto del FORDISMO non é riducibile a una mera questione di ordine cronologico (non a caso attività nate recentemente, come i call center o i fast food sono strutturate secondo i principi tayloristici – fordisti), si può aggiungere che a questo cambiamento viene dato un nome, POSTFORDISMO, non a caso abbastanza generale da definire un ambito significativamente più vasto di quello che si riferisce alla modificazione tecnologica e organizzativa dei processi di produzione, tanto da rappresentare un riferimento sia per coloro che guardano ai cambiamenti in atto nella società e nell’economia esaltandone il carattere innovativo e l’apertura di nuovi scenari, sia per coloro che all’opposto mettono decisamente in risalto gli aspetti distruttivi e socialmente disgreganti connessi a tale fase dello sviluppo capitalistico.
Con il POSTFORDISMO si modificano molte cose. E si modificano in maniera profonda.
Mutano profondamente, anche in seguito alla diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione, i sistemi, i linguaggi, le forme di comunicazione attraverso le quali le persone stabiliscono rapporti; si sviluppano forme di accumulazione flessibili, capaci di integrare, di mettere in rete, modi, tempi e luoghi di produzione tra loro molto diversi, dalla fabbrica robotizzata alla cascina Hi Tech, dal distretto industriale ai templi della finanza globale; si determinano processi di rilocalizzazione delle risorse strategiche che portano con sé ulteriori processi di inclusione e ulteriori divari (digital divide); l’impresa diventa sempre più un centro di regolamentazione delle transazioni; i processi di competizione si basano più sulla qualità e sulla personalizzazione dell’offerta (con la conseguente necessità da parte delle imprese di rispondere prontamente e in modo flessibile alla domanda) che sui volumi prodotti; vengono definiti nuovi indici di efficacia nell’analisi dei processi produttivi; c’è un diffuso sviluppo del terziario privato, del lavoro autonomo e parasubordinato; si afferma il modello della corporate governance, nascono l’impresa minimale e l’azienda logo.
Le nuove parole d’ordine diventano massima elasticità (minori tempi morti e immobilizzazioni, maggiore prontezza nella messa in opera di nuove produzioni), integrazione dei sistemi di produzione, riduzione dei capitali immobilizzati in scorte e magazzini, fabbrica snella, qualità totale, mentre l’insieme di saperi e conoscenze, il general intellect, diviene il vero capitale sociale, il fattore strategico di sviluppo economico, sociale e produttivo. Del resto sta proprio qui il principale elemento di novità, nel fatto che la conoscenza, accumulandosi, induce nuova conoscenza come fonte primaria di produttività e di mutamento sociale e dunque ha un impatto molto più forte del passato sui processi produttivi, culturali, amministrativi. Anche se ogni modo di produzione ha comportato l’accumularsi di esperienze e saperi, nella fase attuale vi é una sorta di produzione di conoscenza a mezzo di conoscenza determinata da costanti interazioni produttive, garantite dai sistemi di informazione in generale e dalle particolari nervature comunicative, proprie dei diversi processi produttivi e sociali, che sfruttano tecnologie il cui “core” é costituito da elaborazioni di informazioni che sono, a un tempo, materia prima e prodotto.
Il ruolo essenziale e predominante delle tecnologie dell’informazione nei processi innovativi consiste nello stabilire relazioni sempre più strette tra cultura sociale, conoscenza scientifica, sviluppo dei fattori produttivi.
Il capitale culturale sociale, la capacità collettiva di rielaborazione simbolica, in breve, la capacità del lavoro di elaborare informazioni e generare conoscenza, sono la fonte materiale di produttività. Il legame tra lavoro, produzione di conoscenze, la loro diffusione e socializzazione, la formazione è stretto non tanto nel senso tradizionale dell’apprendere una professione, perfezionarne le tecniche, affinarne le strategie, bensì in quello di una costante e consapevole disponibilità a sovvertire le proprie competenze specifiche e a riciclare le proprie attitudini generiche, in un ricorrente altalenarsi tra occupazione, inoccupazione, formazione. Al rischio, alla flessibilità, alla mobilità che a questa disponibilità conseguono corrispondono sia l’indebolimento dei legami collettivi, sia la costituzione di esperienze reticolari che compongono la costituzione dei soggetti.